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9 Termidoro, vale sempre la pena di aggiornare la ghigliottina

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
30 Luglio 2022
in Cultura
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Di tutti i colpi di Stato avvenuti nella storia quello del 9 Termidoro ricomprende implicazioni ed equivoci che pesano sui due secoli successivi, fino ai giorni nostri. I vincitori del 9 termidoro, la prima cosa che fecero fu di consolidare un governo a loro favore, la Repubblica termidoriana, per la verità, una bella schifezza. L’avevano davvero fatta grossa. Tutti i crimini commessi li scaricarono sull’enclave robespierrista e riaprirono i salotti delle feste di Parigi per darvi dei balli. Lì nacque il mito del primo mostro dell’età contemporanea, il mite Maximilien. “Se vede un goccio di sangue sviene”, così lo descriveva Danton quando voleva deriderlo.

Poi vi sono gli storici. Alcuni più scavano nel passato, più diventano ciechi, come le talpe. Non il grande Michelet, amico di Giuseppe Mazzini. Michelet era  convinto che i protagonisti della Rivoluzione non ne comandarono mai gli eventi. Come delle marionette appese a dei fili, senza un burattinaio, subito stramazzavano. Michelet comunque descrive la presunta dittatura di Robespierre, “puramente morale”, quella di un papa. Quale è il potere autentico di Robespierre sulla Francia del 1794? Nessuno, non c’è più nessun potere in Francia, caduto il re. C’è solo un vuoto di potere che ciascuno cerca di colmare. Appena Robespierre convince il comitato di Salute pubblica di richiamare Fouché da Lione per fargli rispondere della sua condotta di mitragliere, il club giacobino elegge l’ex abate suo presidente. Come si fa a mandare a processo il presidente del Club giacobino? Per processare Brissot lo aveva fatto cacciare, ma Fouché è appena stato insediato. Fu Stephan Zweig il primo a cogliere le implicazioni della scelta dell’ex convento di rue Saint Honoré. Fouché gongola, Robespierre è livido. Secondo Zweig è Fouché l’artefice stesso della caduta di Robespierre, intuizione da romanziere più che da storico.

Robespierre entra nel comitato di salute pubblica nel luglio del 1793, un periodo in cui impazzano gli hebertisti. Questa banda di scellerati elimina i girondini, e  controlla oramai i gangli dell’amministrazione. La burocrazia rivoluzionaria, composta da poche centinaia di funzionari nel 1791, nel 1793 dispone di almeno 4000 addetti. E meno male che Marat, il capo del club dei cordiglieri, non voleva intermediari fra lo Stato e i cittadini. Hebert, il nuovo Marat, dispone di un esercito. Poi ha il suo fogliaccio distribuito gratuitamente alle truppe, “le Pere duchesne”. Escluso il patriottismo, un modello per  “il Fatto quotidiano” di Travaglio.  Cosa poteva fare davvero Robespierre? Per essere uno che “non sa nemmeno cuocersi un uovo al tegamino”, sempre Danton, fa assumere dalla Convenzione i principi della Comune. Robespierre si allea con Danton, cioè il cordigliere a cui Hebert deve il posto. E’ l’indulgente Danton, non Robespierre che elimina gli hebertisti. 

Dal gennaio al marzo del 1794, Danton e Robespierre sono d’accordo nel salvaguardare l’autorità del parlamento dal moto di piazza e lo riassorbono schiacciando gli agitatori della comune. Il Maximum, il Tribunale rivoluzionario, l’ingrandimento dell’armata, strappano loro ogni tema, fino a tagliagli la testa. Gli hebertisti restano solo impicciati nei loro affari, poco edificanti. Forse che Danton non faceva affari anch’egli? Nemmeno Mirabeau fu spregiudicato e corrompibile come Danton. Chi cercò allora di salvare Danton? Robespierre fino all’ultimo.  Sconfessasse i suoi amici della compagnia delle Indie, negasse di essersi fatto sposare da un prete refrattario, tornasse nel Comitato. Ma voi lo conoscete Danton. Primo, fa solo quello che gli pare. Secondo, la moglie ragazzina era una cattolica fervente, terzo, i suoi amici ladri lo avevano arricchito ulteriormente. Quarto, i soldi e gli agi gli piacevano più che le interminabili riunioni politiche.  

Ammettiamo pure che tutta la pletora di professoroni che discettano di come la morte di Danton spianasse la via del potere a Robespierre, avesse ragione.  Il punto è che Robespierre passa tutta la seconda parte del mese di giugno malato.  Non si vede  al Comitato, e magari sta benissimo e rifiuta proprio di andarci.  Bel tipo di dittatore.  Danton muore il 5 aprile, e cosa fa da quel momento Robespierre?  Prepara la festa dell’Essere supremo, quella dell’8 giugno. E cosa mai era questa festa dell’Essere supremo, se non la proclamazione della fine del Terrore? Non diciamo sciocchezze!, insorgono gli storici, Robespierre si rivela nelle leggi di pratile che Couthon presenta alla Convenzione. Ecco il vero volto di Robespierre, quello del grande terrorista. Ma quelle leggi sono rivolte contro la deputazione, sono leggi che servono a eliminare gli ultimi arci terroristi, magari seduti nei comitati.  Billaud, Barere, Tallien, sono avvisati.  Robespierre rappresenta una minoranza altro che una dittatura,  e il Comitato lo giobba, si inventa un attentato contro di lui e manda a morte un centinaio di presunti congiurati tanto per. Robespierre è disarmato.  Perché non mobilitare la scuola militare del campo di Marte, creata da Saint Just e che ha il culto della sua personalità? Robespierre, non ci pensa proprio, lascia che tutti i cadetti vadano al fronte, quando mai si preoccupa della sua incolumità personale. Tutta l’attività residua di Robespierre nel mese di luglio è concentrata nella stesura del discorso alla Convenzione. La parola era la sua unica arma in un’epoca in cui servivano i cannoni. Il bello è che i comitati invece di ridere, tremavano. Ci volle davvero poco a rovesciare il Tiranno. Bastò che l’assemblea gli impedisse di risalire la Tribuna. Robespierre rimase strozzato, Mai avrebbe contraddetto la volontà del parlamento. Eccola svelata, “la volontà generale”.

I, segue

foto Muséè de La Révolution Francaises, Vizille

Tags: DantonTermidoro
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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