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C’eravamo tanto armati

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
1 Settembre 2024
in L'editoriale
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Il patto firmato il 24 febbraio scorso fra Roma e Kyiv prevedeva di lavorare “insieme e con altri partner per garantire la capacità delle forze di sicurezza e di difesa dell’Ucraina di ripristinare completamente l’integrità territoriale all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale e di aumentare la resilienza affinché sia sufficiente a scoraggiare e difendersi da futuri attacchi e coercizioni”. Questo con l’intento di cooperare “nella creazione di forze sostenibili in grado di difendere l’Ucraina ora e di scoraggiare l’aggressione russa in futuro”. Il documento controfirmato dal presidente del consiglio italiano, su iniziativa spontanea del suo governo, non poneva condizioni a come si deve “ripristinare completamente” l’integrità territoriale dell’Ucraina e tanto meno, indicava un qualche metodo per scoraggiare “futuri attacchi e coercizioni” da parte della Russia. Se ne deduce che una volta messosi in tasca la bozza d’accordo, Zelensky non fosse tenuto a consultarsi con l’Italia sulla strategia militare da adottare, né dover chiedere il permesso per qualsiasi operazione ritenuta dai suoi comandi strategicamente necessaria, si svolgesse in cielo, in mare, in Donbass, o sul suolo russo. Altrimenti si dovevano scrivere nero su bianco concetti e perifrasi differenti da quelle che pure ancora si leggono.

Sorpreso quanto l’Italia dell’incursione nel Kursk è stato il governo statunitense. In particolare al Pentagono non sembrerebbero nemmeno particolarmente convinti della bontà della scelta di Zelensky. Gli analisti militari Usa temono che non si riesca a contenere l’offensiva russa nel Donbass e contemporaneamente aprire un secondo fronte. Mentre a Washington ancora non sono a conoscenza di quante e quali truppe vengano impiegate sul territorio russo e non riescono a seguire gli sviluppi bellici sul campo. In parole semplici, gli americani temono una clamorosa disfatta di Kyiv. A maggior ragione hanno subito ritenuto legittima, come il commissario europeo Borrell, l’azione nel Kursk e insieme alla Nato, autorizzato l’impiego delle loro armi per sostenerla. L’America, la Commissione europea e la Nato hanno deciso di appoggiare l’Ucraina e le hanno dato un mandato in bianco. Sono gli ucraini che combattono, non loro. L’Italia e l’Ungheria hanno preso una posizione diversa, contraria all’attacco in Russia. Ovvero, anche se solo penetrando le linee russe fosse possibile raggiungere gli obiettivi preposti dal trattato di sicurezza congiunto, l’Italia vorrebbe comunque trovare un’altra strada, che magari non esiste. Dal che ci si chiede perché mai gli accordi di febbraio. Nonostante le distanze fra la Russia e l’Ucraina, se l’Ucraina muove i suoi attacchi balistici oltre confine, l’Italia è contraria. L’Italia è favorevole al tiro al piattello. Mentre la Russia riceve aiuti da parte dell’Iran e della Corea del nord, senza condizione alcuna, il governo italiano si preoccupa di dettare le sue ex post. Tanto valeva chiedere all’Ucraina di capitolare. Peccato aver perso invece tempo e soldi con tutta una politica di aiuti e annunci roboanti che prevedeva persino l’invio di missili Himars. Se li ricevesse, Zelensky può tirarseli sulla testa, per essere sicuro di non colpire il sacro suolo russo.

A questo punto non si capisce come il presidente del consiglio possa giustificare una simile svolta nella politica estera del governo senza perdere la faccia. Si può benissimo cambiare idea e impostazione politica del governo, tanto da dare ragione a Salvini. Ovviamente il comunicato della Lega sul vertice di Palazzo Chigi avvenuto l’altro giorno, forniva la versione autentica di quanto ci si fosse detti. Solo che questo dovrebbe comportare anche un cambiamento del governo, se non della maggioranza, almeno del presidente del Consiglio. Il governo durerà sino alla fine della legislatura, ci ripetono ogni giorno. In verità è già finito quanto a credibilità, prima ancora di presentare la legge finanziaria,

Galleria della presidenza del Consiglio

Tags: MeloniZelensky
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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