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Cosa si risponde a chi agita il fantasma di Suvorov

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
1 Marzo 2023
in L'editoriale
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Appena avremo il recapito di Vladimir Solovyev gli si invierà una edizione rilegata della Certosa di Parma di Stendhal, in modo che entrati nel 150 esimo anniversario della nascita dello scrittore, il sodale di Putin possa avere una qualche testimonianza dell’ingresso delle truppe francesi a Milano. Nel maggio del 1796 i milanesi accolsero Bonaparte come un Cesare ed un Alessandro, ne ospitarono i soldati nelle loro case, li vestirono e li nutrirono e nemmeno si accorsero degli oboli versati al Direttorio di Parigi dal momento che venne istituito per la prima volta un governo indipendente interamente composto da cittadini italiani. È vero che con Bonaparte in Egitto un governo francese di sicofanti e pronto a vendersi ai Borboni ebbe non pochi attriti finanziari con la Repubblica Cisalpina, ma quando il generale Suvorov piombò su truppe prive del loro comandante in capo, dovette fare un proclama agli italiani dove li minacciava di fucilare loro e sterminarne le famiglie, dopo averne confiscato le proprietà, mai nel caso avessero sostenuto i francesi. Ciononostante l’armata d’Italia arrivò a contare 20 mila italiani e riorganizzata nuovamente sotto Bonaparte tempo poche settimane prese a cannonate le truppe di Suvorov e le ricacciò da dove erano venute. Fra questi 20 mila italiani ricordiamo un giovane colonnello Drago, fratello di Maria Drago, futura madre di Giuseppe Mazzini. Che poi vi siano stati italiani pronti a baciare le mani all’aristocratico russo, come ha ricordato Solovyev nel suo accesso di bile contro l’Italia è vero. Di bigotti, reazionari, servitori dell’Austria ce n’erano eccome nelle famiglie italiane ben felici di vedere restituiti i privilegi garantiti dal governo precedente, per non parlare dei preti disperati di aver visto svuotati i conventi per l’istituto delle scuole pubbliche. Prima dell’arrivo di Bonaparte non serviva che la gente studiasse. Per andare nel regno dei cieli bastava recitare il pater nostro e versare un obolo alla Chiesa.

I russi per tradizione amano ignorare la complessità storica, sono prevalentemente, per lo meno questo diceva di loro l’ucraino Trotskij dei “mistici visionari”. Hanno scambiato la dekulakizzazione per l’emancipazione della gleba, l’industrializzazione forzata con la rivoluzione industriale, ed un colpo di Stato militare con l’avvento del regno del proletariato. Figurarsi di cos’altro possono essere capaci. Lo sfogo di Solovyev dovrà pur avere lo stesso una qualche ragione, ad esempio le promesse fatte da qualcuno al Cremlino. Anche Putin nel suo discorso agli Stati della confederazione si era rivolto all’Italia tacciandola di ingratitudine. La Russia era stata molto generosa al tempo della pandemia. Su questa generosità il parlamento dovrebbe per lo meno fare un’inchiesta, tanto per accertare esattamente in cosa sia consistita. Ma Solovyev non si è rivolto ad un governo precedente ma a quello italiano in carica, determinato come quello polacco. Cosa è accaduto dei bravi italiani tira e molla, di quelli che indossavano magliette con il faccione di Putin o facevano addirittura festini in dacia con il presidente russo? Possibile che siano tutti spariti? E dall’opposizione solo il democristiano Conte è rimasto amico del Cremlino? Di tutto il vecchio partito comunista che faceva avanti e in dietro con la Russia fra caviale e donnine, non è rimasto più nessuno? Possibile solo Sansonetti e Vauro e Liguori che a Mosca manco li si conosce? Per lo meno il nuovo segretario del Partito democratico, non sarà anche lei un’atlantista filo Nato, forsennata? In fondo Obama, la Schlein fu volontaria alla sua campagna elettorale, mica mandò i carri armati quando i russi si presero la Crimea. Era ragionevole Obama.

Se dunque erano pochini gli italiani, soprattutto milanesi, che baciarono le mani di Suvorov potrebbero essere tanti quelli disposti a baciare un’altra parte del corpo di Putin, o per lo meno Solovyev vorrebbe poterlo credere, fra nuove minacce e vecchie prebende. Davvero faremo tutto il possibile per deluderlo.

Tags: Suvarovtendhal
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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