Ademo Spigliantini è stato un antifascista di Arezzo che ha costituito il partito d’Azione prima e militato nel Pri poi. Per il nipote Luciano Spigliantini candidarsi per il Pri insieme ad Azione di Carlo Calenda nella lista Siamo europei per il voto dell’8 e 9 giugno è innanzitutto una ricomposizione della famiglia. «Quando il segretario del Pri della Toscana mi ha proposto la candidatura ho pensato ad una occasione importante per far crescere il partito, tornare a far girare il simbolo. Ci sono ancora persone che non sanno che il Partito repubblicano esista ancora e che la campagna elettorale ha fatto avvicinare. Prima dei voti, ho raccolto degli iscritti». Spigliantini è un avvocato il cui studio esercita in più parti della Toscana, ma che conosce bene per lavoro la Germania e la Francia, è un esperto d’arte medioevale è un conoscitore del luteranesimo. «Sarebbe troppo facile rispondere a chi vorrebbe più Italia in Europa, dire che semmai c’è più bisogno di Europa in Italia, innanzitutto per il senso dello Stato. Guardate cos’è accaduto all’Oktober Fest di Monaco quando dei ragazzotti si sono messi a fare il saluto nazista. Fenomeni come quelli che si assistono ad Acca Larentia, non sono consentiti dalle autorità tedesche che non mostrano nessuna accondiscendenza verso certi comportamenti».
Credi che ci sia ancora un problema fascismo in Europa? «Credo che non ci possa stare lì a 80 anni di distanza discutere di fascismo ed antifascismo, che bisogna andare avanti, che una certa contrapposizione anacronistica rischi di far principalmente perdere di vista i problemi di domani, prima di quelli di ieri».
E come vedi l’Europa di domani? «Avviata necessariamente verso un cambiamento. Per quanto si possa essere riluttanti, pesano i fatti, gli eventi che chiedono risposte diverse a quelle date finora. L’unanimismo comporta la paralisi. Bisogna superarlo considerando che l’allargamento ha comportato necessariamente dei nuovi problemi. Ci furono con l’ingresso del Regno Unito, figurarsi se non ci sarebbero stati con quello della Polonia o dell’Ungheria. Al limite si potrebbe pensare a due velocità, per non escludere nessuno e non rischiare la paralisi».
Come ti sembra la reazione alla crisi orientale? «Nel complesso deficitaria. Io non ho apprezzato le parole di Macron sull’invio delle truppe in Ucraina, perchè se c’è la necessità certe cose non si annunciano, si fanno. Molto peggio sono coloro che si sono precipitati ad escluderla, a dire non manderemo mai le truppe. Evidentemente c’è chi non si rende conto del terreno che scivola sotto i piedi».
D’altra parte tu vedi come l’opinione pubblica, quella italiana su tutte, vorrebbe l’appeasement con la Russia. «In Italia i filo russi sono sovra rappresentati. Per carità io sono per la libera espressione di tutti e nemmeno davanti alla prospettiva della guerra sono per impedire di esprimere le opinioni più disparate. Ci mancherebbe. Dal momento che però l’Italia è nella Nato ed ha scelto una linea nei confronti della Russia è inaccettabile che appena apri la televisione c’è chi sta lì a spiegarti che la Nato e l’Italia sbaglino».
Cosa ritiene fondamentale per il futuro dell’Europa? «La lotta per le pari opportunità, un’istruzione di qualità superiore. Ogni individuo, ogni Stato ha delle sue peculiarità, ma il livello di partenza delle condizioni deve essere assicurato a tutti i cittadini, ovunque si trovino, quali siano le loro condizioni sociali. È la battaglia più grande da combattere per la nostra civiltà, la principale eredità che distingue l’Europa dall’Asia o dall’Africa, l’illuminismo, la ragione».