Il pensiero di Mazzini e l’azione di Garibaldi alzarono un’onda storica che si estese ben oltre le Alpi: gli ideali di nazionalità e libertà del Risorgimento italiano generarono aspirazioni analoghe in più parti d’Europa. Lo stesso impero austriaco dopo la perdita dei possedimenti in Italia fu indotto a trasformarsi, lo Stato degli Asburgo dovette rinnovarsi al suo interno riconoscendo le istanze liberali (dunque elaborando una prima costituzione, l’Oktober–diplom del 1860, che garantiva alla borghesia una forma di partecipazione politica) e quelle di autonomia dei popoli soggetti. In realtà il tanto decantato federalismo dell’impero austro-ungarico che gli ammiratori italiani di Francesco Giuseppe vorrebbero contrapporre al centralismo risorgimentale… fu proprio l’effetto del Risorgimento. Dopo aver perso l’Italia, i governi di Vienna non potevano più permettersi di rispondere con la forza alle richieste di autonomia degli Ungheresi, il rischio era di subire nuove secessioni, da qui la nascita del dualismo austro-ungarico.
In Irlanda la Young Ireland si ispirava al modello mazziniano per progettare l’indipendenza dell’isola secondo un modello laico che accomunasse cattolici e protestanti: questa intesa sovra-confessionale veniva rappresentata dai colori della bandiera indipendentista irlandese con il bianco della pace che congiunge il verde dei cattolici e l’orange dei protestanti nord-irlandesi. Un modello ben diverso, probabilmente più saggio rispetto a quello che si sarebbe affermato in seguito, basato su un rigido senso di appartenenza confessionale.
Anche la cattolica Polonia guardando a ciò che accadeva a Roma trovava ispirazione per un realizzare il proprio risorgimento. Nel 1848 il poeta nazionale Adam Mickiewicz era accorso a Roma con una Legione Polacca per portare aiuto alla Repubblica Romana di Mazzini che di Mickiewicz era stato traduttore.
L’Italia unita e liberale influenzava anche la vicina Spagna che era divisa al suo interno tra fautori del legittimismo e sostenitori di un modello nuovo di società più rispettoso delle prerogative dell’individuo. Il provvisorio prevalere di questa seconda fazione nel 1870 condusse, anche per giochi di equilibrio tra grandi potenze, alla breve esperienza di regno di Amedeo di Savoia-Aosta sul trono che fu di Ferdinando ed Isabella.
In questo scenario di cambiamenti sempre travagliati si inserirono i Garibaldini, come una specie di “task force” impegnata negli scenari in cui si lottava per i principi di nazionalità-e-libertà. Fu così che, come in un romanzo picaresco, la battaglia risorgimentale delle Camicie Rosse proseguì ora nel Mediterraneo contro i Turchi, ora in Polonia ai confini occidentali dell’impero zarista.
Nel loro anelito all’indipendenza i Polacchi potevano contare sull’appoggio di un “Comitato per la Democrazia Europea”, al cui interno trovavano posto tanto Mazzini quanto Marx. Al di là delle nette differenze ideologiche tra i partecipanti, questa Lega internazionale si prefiggeva la caduta degli imperi autoritari dell’Est Europa che erano già stati i fautori della Santa Alleanza, ovvero Austria e Russia e la nascita di democrazie nazionali una volta che le due “prigioni dei popoli” fossero state smantellate. L’ondata delle rivoluzioni nazionali si sarebbe dovuta diffondere quindi all’Impero Ottomano portando alla nascita di stati indipendenti in Albania e Montenegro, alla espansione della Grecia.
Il perno di questa operazione decisamente ambiziosa era appunto la Polonia, la quale vedeva aumentare il numero dei soldati russi mobilitati nell’occupazione. Mazziniani e Garibaldini si diedero da fare per raccogliere volontari in vista di una spedizione ad Est mettendo tra parentesi i motivi di contrasto che erano maturati tra i due schieramenti al tempo della spedizione dei Mille.
In verità anche il Parlamento italiano dibatteva e si divideva riguardo all’opportunità di un intervento a favore dei ribelli polacchi. I favorevoli (come Farina) confidavano nella possibilità che una disfatta della Russia aprisse un arco di crisi anche nell’area danubiana, dando all’Italia l’opportunità di liberare le Tre Venezie e la Dalmazia.
I contrari (Minghetti, Visconti-Venosta) facevano appello a un principio di cautela e alla necessità di consolidare le basi dello Stato unitario per quanto incompleto. Questi ultimi prevalsero e ottennero di chiudere la scuola militare di Cuneo, centro di addestramento degli emigrati polacchi.
Per un risaputo gioco di azione e reazione, proprio la posizione rinunciataria dei moderati eccitò i sanguigni garibaldini all’azione. Una volta in Polonia le camicie rosse confluirono in unità di combattimento insieme ai volontari francesi. Nella fredda terra dell’Est avviene così il “disgelo” tra volontari democratici italiani e i Francesi, che erano stati acerrimi nemici al tempo della Repubblica Romana.
E tuttavia non appena si apre il fuoco arrivano le disfatte: scarsamente organizzati e mal coordinati con i leader locali dell’insurrezione i volontari italo-francesi fanno brutta fine. Il garibaldino Nullo viene ucciso in combattimento dai Cosacchi: il suo ricordo ancora oggi è vivo nella memoria storica dei Polacchi; Caroli e i suoi bergamaschi vengono catturati e condotti in prigionia a Czestochowa. Il tribunale militare russo commina condanne a morte che poi verranno commutati in una più agevole deportazione ai lavori forzati in Siberia…
In Italia intanto si diffonde la notizia della disfatta dei volontari e della loro rieducazione siberiana: soprattutto in Lombardia si cerca di organizzare una campagna per inviare aiuti ai deportati. Il medico bergamasco Francesco Alborghetti scrive un libro, “La spedizione degli Italiani in Polonia” per promuovere la raccolta di fondi.
Il doloroso viaggio dei Garibaldini dalla Polonia alla Siberia incomincia nel 1863 e si concluderà otto mesi dopo nelle più remote località ai confini della Manciuria. Partiti con i treni si ritroveranno a marciare con le catene ai piedi insieme ai detenuti comuni e ai proscritti dell’universo concentrazionario zarista. Ad attenderli sono le miniere di ferro e d’argento.
Dopo poco tempo Caroli è colto da una violenta febbre che dà luogo a deliri: “infiammazione cerebrale” è la diagnosi del medico del campo di lavoro, nessun farmaco a disposizione per tentare una cura; muore l’8 giugno 1866 pochi giorni prima che il governo di Mosca decida, in segno di buona volontà diplomatica, di amnistiare i volontari stranieri. Comincia allora il travagliato viaggio di ritorno verso l’Italia, unico elemento proficuo della spedizione furono i legami intrecciati con i patrioti polacchi e anche i liberali russi: tra questi lo scrittore russo Nikolaj Černyševskij, autore del noto romanzo “Čto delat?” – Che fare? – e il patriota polacco Szimon Tokarszewski, ricordato da Fëdor Dostoevskij nelle sue “Memorie da una casa di morti”.
I Garibaldini che nonostante tutto conservavano un certo spirito goliardico si portarono come ricordo dalla fredda Siberia una zanna di Mammut acquistata in una località del lago Bajkal e oggi conservata nel Museo Civico di Scienze Naturali di Bergamo.
In tutta questa vicenda non priva di risvolti romanzeschi interessante era il dato della fraternizzazione tra volontari italiani e francesi in terra polacca e il superamento della frattura avvenuta al tempo del II Impero e della Repubblica Romana: la confluenza sullo stesso fronte avrebbe rappresentato il prologo della successiva avventura internazionale delle Camicie Rosse, stavolta in terra di Francia e sotto il comando dello stesso generale Garibaldi.
In un periodo storico in cui la democrazia mostra segni preoccupanti di crisi, l’azione “geopolitica” dei Garibaldini (dalla Polonia alla Francia alla Grecia e poi di nuovo in terra di Francia allo scoppio della Prima Guerra Mondiale) andrebbe divulgata meglio: emergerebbe il ruolo più autentico dell’Italia, la sua mazziniana “missione” di diffondere ideali di libertà e di “società aperta” in un continente ancora esposto alle influenze dei regimi illiberali. Ieri come oggi.
Foto museo civico Bergamo di Elliott Brown | CC BY-NC-SA 2.0