Fra la Russia e le grandi capitali dell’Europa occidentale, ci sono solo tre piccole repubbliche che occupano un tratto di costa del Baltico orientale: Estonia, Lettonia e Lituania. I sei milioni che le abitano, con i russi davanti e il mare dietro, si trovano nella posizione più pericolosa in assoluto, nel caso la guerra fredda fra Russia e Nato dovesse diventare calda. Da gennaio, i tre governi hanno concordato la creazione di uno spazio di difesa comune. Una cooperazione in tutti i campi della difesa, dal coordinamento delle operazioni missilistiche alla costruzione di fortificazioni di frontiera. L’Estonia, in particolare, ha investito 60 milioni di euro per la costruzione di oltre 600 bunker per proteggere la frontiera con la Russia. La Lituania, per bocca del ministro della Difesa Arvydas Anušauskas, punta maggiormente sul programma congiunto con gli Usa per aumentare i sistemi lanciarazzi e lanciamissili Himars, che tanta parte hanno avuto nella guerra in Ucraina.
Questo è solo l’ultimo dei programmi con cui le tre repubbliche baltiche si preparano all’eventualità di un conflitto con la Russia. L’Estonia ha sempre avuto un esercito di coscritti. La Lituania, che aveva abolito la leva obbligatoria nel 2008, l’ha reintrodotta nel 2015, a seguito dell’annessione russa della Crimea. La Lettonia, ultima a resistere con un esercito solo professionale, ha reintrodotto la leva quest’anno, in risposta all’invasione russa dell’Ucraina. Anche la popolazione si prepara. In Lituania, dal 2022, il governo ha ordinato la costruzione di rifugi sia per gli edifici pubblici che per i grandi condomini. Attualmente, con circa 3300 rifugi, il 30% della popolazione è coperta, l’obiettivo è quello di arrivare al 40% per le aree rurali e il 60% per le aree urbane. In Estonia, il governo punta a costruire rifugi per almeno 730mila abitanti, ma conta anche sui privati. Da dieci anni, infatti, compagnie commerciali stanno testando rifugi “mobili” facilmente installabili e prefabbricati, utili soprattutto per le aree rurali.
Troppo allarmisti? La loro storia dimostra il contrario. I Baltici, storicamente si sono trovati nell’indifendibile posizione di “cuscinetto” fra i due imperi, quello tedesco e quello russo. Nel 1939 Hitler e Stalin si erano spartiti i tre piccoli Stati nel protocollo segreto del Patto Ribbentrop-Molotov. Ma è bene ricordare che il processo stesso di disintegrazione partì dai Baltici e in particolare dalla Lituania, la prima a proclamare la sua indipendenza e a resistere al successivo tentativo di repressione sovietica nel gennaio del 1991. Per il suo contributo al collasso dell’Urss, la Lituania non è mai stata dimenticata dai revanscisti sovietici. Man mano che il revanscismo prendeva il sopravvento nella politica russa, la minaccia aumentava. Ancora nel giugno 2022, deputati della Duma russa hanno proposto di revocare il riconoscimento della sua indipendenza. Estonia e Lettonia condividono gli stessi timori, soprattutto dopo che Mosca iniziato a usare le minoranze russe e russofone, in Ucraina, per realizzare i suoi disegni imperialistici. I russi etnici costituiscono un quarto della popolazione estone e lettone. Città come Narva, in Estonia e regioni come la Latgalia, in Lettonia, sono a maggioranza russa.
I governi baltici, a prescindere dal colore politico, stanno avvertendo gli alleati della Nato del pericolo russo, almeno dal 2007. Risale ad allora, infatti, il primo cyberattacco militare condotto da “ignoti” ai danni delle istituzioni politiche e delle banche dell’Estonia, come risposta alla mera decisione di spostare di luogo un monumento agli eroi sovietici della Seconda Guerra Mondiale. Da allora la Nato si allertò sulla possibilità di attacchi informatici e fu in quella occasione, infatti, che venne creato il Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence, a Tallin, un centro della Nato con lo scopo di incrementare la cybersicurezza. Allora si parlò di “minacce asimmetriche”. Quando la Russia annesse la Crimea e iniziò a far scoppiare la guerriglia nel Donbass, contro l’Ucraina, allora si parlò anche di “guerra ibrida”.
Ma la Nato continuò ad escludere lo scenario più plateale: quello dell’invasione. Edward Lucas, analista, autore del profetico The New Cold War (2008), nel 2014 scriveva, sulla rivista Politico, a proposito della minaccia ignorata: «La difesa territoriale dell’Europa non era solo un argomento ignorato, era il modo giusto per distruggere carriere. Il consenso si era cristallizzato intorno all’idea che la Russia non fosse (e non sarebbe stata) una minaccia». Questo Lucas lo scriveva otto anni prima dell’invasione russa dell’Ucraina, domandandosi perché non avessimo ascoltato i Baltici e i Paesi dell’ex Patto di Varsavia. Ma dopo di allora? A giudicare dalle ridotte dimensioni dei contingenti Nato presenti nei Baltici (5mila uomini al massimo), fino alla vigilia del 24 febbraio 2022, la minaccia di Mosca non è mai stata presa sul serio. Ed oggi potrebbe essere troppo tardi per recuperare. Ecco perché i Baltici iniziano a pensare alla loro stessa difesa, assieme ai vicini polacchi e ai finlandesi che sono appena stati ammessi nella Nato. Rifiutandosi di essere considerati “sacrificabili” come lo furono nel Patto Ribbentrop-Molotov e poi ancora a Yalta.
Foto Stenbocki maja | Katrin Saar | CC BY-SA 3.0