La Voce Repubblicana ha un profondo debito di riconoscenza nei confronti della figura di Giovanni Conti a 140 anni dalla nascita, il 17 novembre del 1882. Conti aderì al Partito Repubblicano Italiano all’età di soli sedici anni dimostrando una particolare propensione per l’attività editoriale. Fu fra i fondatori della Ragione nel 1907 e poi fra gli animatori de l’Iniziativa repubblicana” nel 1910. A Conti si deve anche il primo volume di una storia divulgativa del movimento repubblicano “Dalla Rivoluzione francese al 1849″ che sarebbe utile riportare in distribuzione, anche per capire magari le origini fondative del partito repubblicano, da dove si proviene, dal giacobinismo e dove si deve andare, alla Repubblica Romana.
Dal 1922 Conti curò l’Almanacco repubblicano e dal 1922 fu il primo direttore de La Voce repubblicana, di cui ci onoriamo di mantenere la testata. A La Voce Repubblicana Conti dedicò tutte le sue forze soprattutto davanti al fascismo. Eletto in parlamento Conti fu subito un avversario diretto di Benito Mussolini: «Voi credete, onorevole Mussolini di aver arrestato il cammino, di aver fermato la storia. No, onorevole Presidente del Consiglio… Noi repubblicani proseguiremo nella nostra battaglia, continuiamo ad agitare la fiaccola delle nostre idee». Fu Conti a vedere nella marcia su Roma, appena conclusa la defenestrazione del re e la fine della monarchia. «E noi andremo incontro anche al diavolo per affrettare il suo crollo e fondare la repubblica sulle sue rovine». Un intervento che gli costò le rappresaglie dello squadrismo. Con la dittatura, Giovanni Conti decadde dal mandato parlamentare e nel 1928 fu dichiarato sorvegliato speciale. Ma ancora nel 1938 nonostante le ristrettezze economiche a cui fu sottoposto, Conti continuò la sua attività politica in clandestinità, così La Voce Repubblicana, soppressa ufficialmente nel 1926 riuscì ad essere ancora stampata fino al suo ripristino nel 1944, con Conti ancora direttore. «La Repubblica è l’attuazione della democrazia, che è il metodo per il quale si risolvono e si avviano a soluzione tutti i problemi della nostra vita». Eletto deputato con 57.558 voti preferenziali, fece parte della “Commissione dei 75” per la elaborazione del progetto di Costituzione.
«Nella libertà assicurata con la Repubblica sono finalmente possibili le riforme economiche e sociali, le tanto sperate riforme che debbono promuovere la fine delle ingiustizie e di tante sofferenze di tanti e tanti lavoratori. Siamo cittadini della Repubblica. Dobbiamo vivere non più come sudditi, ma come uomini liberi». Delle sue numerosissime opere di ispirazione repubblicana e mazziniana, ricordiamo “Il pensiero politico e sociale di Mazzini” e “Mazzini e la questione economica”. Nel 1950 ruppe con Pacciardi al punto di arrivare a dimettersi dal partito. Nel 1956 il Consiglio Nazionale del Pri, con Pacciardi, Reale e La Malfa firmò un documento che lo invitava a rientrare nel partito repubblicano, dove morì, senza clamori, un anno dopo.