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Il fascismo nato sul bordo di un marciapiede

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
4 Marzo 2023
in L'editoriale
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I sentimenti antifascisti della preside del Liceo Leonardo da Vinci di Firenze, quali sono stati espressi in una lettera agli studenti, meritano un encomio profondo. E’ bello che nel nostro sistema scolastico si esprima un tale senso di appartenenza ai valori fondanti della Repubblica. Sotto il profilo strettamente didattico, vi sarebbe invece molto da discutere. Per lo meno sulla base degli aggiornamenti degli archivi e dei documenti avvenuto dal 1950 ad oggi, ovvero più di settanta anni dopo. E’ sicuramente di forte impatto emotivo l’affermazione della preside secondo cui “il fascismo in Italia non è nato con le adunate di migliaia di persone, ma con la vittima di un pestaggio, per motivi politici, sul bordo del marciapiede qualunque, lasciata abbandonata a se stessa da passanti indifferenti”. Sotto un profilo storiografico tale ricostruzione è una visione della genesi del fascismo discutibile. Mancherebbero elementi molto complessi come la frustrazione della vittoria mutilata, o il peso della rivoluzione d’ottobre. E poi la personalità di Mussolini. Non conta niente la figura di Mussolini? E’ anche molto difficile da pensare che sia “l’indifferenza” alla base del fascismo. Nemmeno Moravia nel suo capolavoro “Gli indifferenti”, pensava qualcosa del genere. Come può l’indifferenza originare un differente come il fascismo? Semmai l’indifferenza ne accompagna lo sviluppo. Anche “odio gli indifferenti” del “grande italiano” Antonio Gramsci, citato dalla preside, ci dice di un giudizio di Gramsci non delle origini del fascismo e piuttosto vi sarebbe da credere che odiando gli indifferenti, Gramsci non odiasse i fascisti, ma qualcosa di diverso da quelli. Magari Gramsci odiava solo la componente borghese del fascismo.

In linea di massima dopo 70 anni non è che si possa ignorare il fatto che Mussolini desiderasse restituire Gramsci a Stalin, per evitare di farne un martire. Era il capo sovietico a non volerselo riprendere e speriamo che non abbia anche lasciato che il segretario comunista italiano venisse consegnato. I rapporti fra Gramsci, Mussolini e Stalin sono oramai ricostruiti dagli studi del presidente della Fondazione Gramsci, Giuseppe Vacca e questo dall’inizio del nuovo millennio. Forse una preside dovrebbe documentarsi meglio.

Un approccio all’antifascismo più riflessivo che militante, consentirebbe di non confondere il fascismo originario con quello della Repubblica sociale. La crisi del fascismo nacque dalle principali gerarchie fasciste, la Repubblica sociale attinse a forze completamente diverse. magari anche vecchi squadristi, ma più spesso da risorse nazionali completamente estranee a quella tradizione. Il comandante Junio Valerio Borghese, ad esempio, non ebbe mai la tessera del partito fascista. Una distinzione politica fra fascismo originale e repubblichino va fatta e non per salvarne qualcosa ma per comprendere le differenze profonde e il cambiamento di riferimento storico e politico. Se non altro, perché la Rsi non ebbe più a che fare con l’indifferenza, ma semmai con l’odio. I sostenitori appassionati di Mussolini erano accanto ad un uomo che non ci credeva più. “Sono un morto” diceva il duce di se stesso in una sua lettera a Claretta Petacci.

A rigore di logica se Mussolini non credeva più nel fascismo ed in se stesso, in cosa potevano più credere i suoi sostenitori? Questa la domanda che accompagna gli eventuali eredi del fascismo e le possibilità di riproposizione dello stesso. Un fascista autentico, qual era il professor Nolte, ad esempio, scriveva malinconicamente che il fascismo era rinchiuso in una precisa epoca e che senza Hitler e Mussolini, non aveva più alcun senso, nemmeno se l’Asse avesse vinto la guerra. Allora, per carità combattere l’indifferenza, combattere il fascismo è cosa sacrosanta. E’ semmai pensare che dei ragazzi che si picchiano fra loro possano far risorgere il fascismo, che sembra un po’ un’esagerazione. Mentre una marcia antifascista dovuta ad una gazzarra scolastica, per quanto politicamente motivata, sembra proprio un’occasione persa per riflettere un po’ più seriamente sul fascismo.

Tags: fascismopreside
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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