L’amico Leonardo Canesi ha inviato il seguente articolo che pubblichiamo volentieri
In questi giorni agostani, in Italia si sta assistendo ad un osceno spettacolo elettorale, fatto di mendaci promesse e di slogan triti e ritriti. Forse perché le coalizioni di destra e di sinistra non sanno mettersi pienamente d’accordo al loro interno, vista la loro eterogeneità, e dunque giocano a chi la spara più grossa; oppure perché hanno perso la loro forza propulsiva rappresentativa (vedi il dato dell’astensionismo, che fanno finta che non esista). Questa bolgia elettorale rende per davvero più afoso l’insostenibile caldo estivo.
Veniamo subito al triumvirato di destra. Ritorna con furore l’ormai stagionato mantra della Flat Tax (“tassa piatta”, sennò Giorgia si arrabbia, sebbene pure lei la chiami alla maniera anglofona), per non parlare di Salvini, sempre incaponito con “la Legge Fornero”: Matteo, cosa hai fatto allora quando eri al governo?
Siamo dunque alle solite: prede di uno sciatto populismo fiscale, nell’intento di uno sciacallaggio di voti.
Sì, perché se Silvio non ci vuole mostrare le coperture, in quanto lui dice – ipse dixit – che la tassa piatta semplicemente è sostenibile grazie alla dimostrazione di inesistenti studi sul tema, e, tantomeno, Giorgia che già ora sta dando prodezze in tema fiscale con la lungimirante idea di rilanciare, una volta al governo ed in perfetto stile sovranista (nemico del libero mercato), Ita Airways come compagnia di bandiera (reiterando gli errori del passato, assai salati per noi contribuenti) e butta acqua sul fuoco rimandando a dopo il voto la decisione in merito al ginepraio di questa imposta, per nostra (s)fortuna almeno il leghista Siri ha la decenza dell’esemplificazione, indicandoci il modello di Flat Tax già pronto (a detta loro), tal quale, per l’applicazione: ossia l’iniziativa legislativa n.1831 depositata in Senato con la firma dello stesso Salvini.
Tralasciando la sorpresa suscitata dalla presenza di ben 18 aliquote nella composizione della tassa piatta (alla faccia dell’aliquota unica), si rimane basiti dal chiarimento circa la natura della copertura finanziaria della stessa: un auspicato aumento di una eventuale fedeltà fiscale nel futuro. Dunque, si fanno proposte con la sfera di cristallo nella casa della destra. E a noi contribuenti rimane solamente da compiere un atto di fede in merito all’efficacia di una tale proposta.
Di fatto, mai si può sfruttare un eventuale, surreale – per quanto desiderabile – aumento di fedeltà fiscale a posteriori come copertura, incremento che dovrebbe scaturire dalle norme che si vogliono istituire (la Flat Tax) e che si cerca proprio di finanziare. Rimane un buco.
Il vero enigma è il seguente: che Silvio adduce una analoga spiegazione. Ma lui, che di contabilità ne sa parecchio, da bravo imprenditore non si azzarderebbe mai a fare i bilanci delle proprie aziende su presunte e fumose, nonché futuribili, risorse. Far di conto non è mistero della fede. E la logica conseguenza è che, quindi, la Flat Tax si finanzierebbe con il nulla, o meglio con i soldi dei contribuenti, ancora ingannati dalla disonestà intellettuale e da formule magiche politichesi.
Ma il parossismo delle boutade elettorali arriva con Enrico: vuole una patrimoniale sulle successioni plurimilionarie (già contestata da Draghi) per dare una cospicua dote ai diciottenni (10.000 €). Al di là che questo sarebbe l’ennesimo provvedimento le cui coperture sarebbero insufficienti, ci si chiede: è così che si pensa di far andare a votare i giovani? Dando una manciata di caramelle, per agguantare un po’ di consenso? Peraltro, questa ideata non è nemmeno utile all’educazione, all’istruzione del giovane, se quest’ultimo si vede piovere dal cielo la somma promessa senza aver gli strumenti necessari per renderla produttiva per sé, sia in termini di capitale umano, sia in termini economici. Non finisce qui. L’alleato Nicola Fratoianni, non soddisfatto rincara la dose. Pretende una patrimoniale a regola d’arte, da applicare anche ai patrimoni netti del ceto medio.
A parte che in Italia esiste, ad oggi, una patrimoniale su beni specifici, quali attività finanziarie detenute all’estero (0,2%) e proprietà immobiliari all’estero dei residenti fiscali italiani (0,76%). E poi l’attuale pressione fiscale, tra le più alte in UE, non giustifica un aumento della stessa, semmai una razionalizzazione degli sprechi di spesa pubblica.
Dunque, sarebbero provvedimenti fiscali a dir poco controproducenti per la fiducia dei consumatori e per l’economia, per non dire micidiali per quel Governo che li introducesse. La sinistra si impegna a perdere?
A ben vedere, in realtà la patrimoniale propriamente detta, che colpisce trasversalmente tutti gli italiani, nel nostro Paese è già tacitamente all’opera e con abbondante messe. Non è certamente di natura fiscale, bensì monetaria: parlo dell’inflazione, a luglio attestata al + 7,9% [fonte ISTAT]. Fenomeno che si abbatte indiscriminatamente su tutti i risparmiatori, i cui crediti si svalutano, mentre i debitori ne traggono vantaggio per contemporanea svalutazione del proprio debito. Per dare un metro di paragone, in Norvegia, dove dal 1892 si applica la patrimoniale, l’imposta ammonta allo 0,85% (per patrimoni superiori a 152.000€) [fonte WEALTH TAXES IN EUROPE].
Orsù, cari Enrico e Nicola, quante patrimoniali dobbiamo pagare noi contribuenti ancora? Non basta già un’inflazione che da una parte abbatte il debito reale italiano (manna dal cielo) e dall’altra erode cospicuamente il credito dei risparmiatori quasi dell’8% (cifra ben più sostanziosa dello 0,85% norvegese)? Probabilmente a sinistra hanno visto con troppo ottimismo la “Casa de Papel” e credono che ogni cittadino abbia una Zecca di Stato a casa, pronta ad emettere moneta sonante ad ogni occorrenza.
Ora la pars costruens. È chiaro che c’è la necessità di ridurre la pressione fiscale ed al contempo di redistribuire la ricchezza per far ripartire l’ascensore sociale. Ma è indubbia l’incapacità cronica degli schieramenti elettorali di saper incanalare tali esigenze in programmi strutturati, credibili e sostenibili.
Proprio dal problema inflattivo muovo il primo pedone di una partita a scacchi aperta contro il debito, l’evasione e le tasse simultaneamente, partita che dobbiamo assolutamente vincere. Data la complessità della tematica, agli esperti spettano le mosse tecniche e l’ardua sentenza. Ma desidero lanciare una visione di un nuovo paradigma, a beneficio della strategia scacchistica.
Cioè, invece di perseguire pervicacemente una logica da guardie e ladri tra Fisco e contribuente, usiamo il maggior gettito fiscale dovuto all’inflazione ed alle transazioni digitali, nonché alle fatture elettroniche (queste ultime due rappresentano per davvero un aumento della fedeltà fiscale acquisita) [fonte AGENZIA DELLE ENTRATE], per creare un meccanismo concretamente incentivante, che non sconquassi le casse comuni, rompendo l’incantesimo dello Stato vessatore che deve rincorrere l’evasione aumentando la pressione fiscale. Prendiamo la palla al balzo, per instaurare una virtuosa cooperazione Stato-cittadino. Una logica radicalmente opposta: una grande opportunità.
Ossia, si utilizzi come indicatore di fedeltà fiscale il gap tax – che misura oggettivamente il divario (gap) tra le imposte e i contributi effettivamente versati e le imposte e i contributi che i contribuenti avrebbero dovuto versare in un regime di perfetto adempimento degli obblighi tributari e contributivi previsti dalla legislazione vigente – gap tax come cinghia di trasmissione tra maggior gettito fiscale ed i necessari sgravi fiscali. I quali diventino a poco a poco permanenti nel tempo e sempre più consistenti, per instaurare un clima di fiducia nei ceti basso e medio. In definitiva, un abile impiego del positivo saldo erariale così ottenuto, per innescare un circolo virtuoso, che certo raggiungerà nel tempo un equilibrio fiscale stabile, ma questa volta dettato dall’alleanza tra cittadino e Stato. E finalmente getteremmo le basi per costruire veramente un sistema meritocratico per chi paga.
Chiaramente il discorso va affiancato da una certezza della pena per chi sgarra.
Tali sgravi fiscali permettono di agganciare direttamente l’alleggerimento fiscale ad una maggiore produttività e competitività di imprese e un maggior dinamismo dei consumatori. Oltre ad un concreto aiuto, dovuto ad una maggiore redistribuzione, alle fasce più povere della popolazione.
Si badi bene che in questo ragionamento, per quanto embrionale, si parte già da una copertura presente, che è proprio quella generata da uno stimolo continuo (come sopra delineato) di una autentica fedeltà fiscale che genera gettito da ripartire nei conseguenti sgravi. Pertanto, invertiamo la rotta.
Nulla di pirotecnico, certo. Nessun proclama pomposo a suon di slogan. Semplicemente una autentica proposta repubblicana, perché nell’interesse di tutti, credibile, affidabile, perfezionabile. Questo chiedono i cittadini, in particolare quelli che si astengono e gli indecisi: chiarezza e realizzabilità che portino il cambiamento a portata di mano, seppur lentamente, per assimilare permanentemente i risultati. Con questo approccio possiamo risvegliare la passione del cittadino per il vivere collettivo.
Lo Stato siamo noi e siamo noi i padroni del nostro futuro; queste elezioni sono il momento propizio per dimostrare che la previsione di rating (affidabilità) formulata da Moody è infondata, se sapremo andare oltre alle chiacchiere e ai vaniloqui elettorali: i nostri titoli di Stato sono ad un passo dalla spazzatura secondo Moody. E non stento a crederlo, viste le promesse di destra e le proposte avventate di sinistra.
Ma c’è un fermento repubblicano (ancora inespresso) che sta crescendo e che, dopo una pandemia (non esattamente conclusa) ed una guerra in corso, vuole risparmiarci un esercizio provvisorio (certo che si realizzi, se continuiamo così) da lacrime e sangue. Non ce lo meritiamo.
Perciò esorto i lettori a votare con ragionevolezza. Noi Repubblicani del PRI ci siamo, abbiamo scelto di contribuire in maniera determinante al Terzo Polo, per un grande e serio riformismo. Ci spendiamo per un reset della politica degenerata, per una nuova cultura civica, per riportare la ragione e l’affidabilità alle redini del nostro comune destino.
Foto Mattana23