Se socialisti, cattolici, liberali, repubblicani, condividono l’esigenza di riprendere il percorso di un governo la cui esperienza si è interrotta causa un colpo di mano sgangherato, la scelta elettorale da intraprendere è fin troppo ovvia. Si tratta di fare un cartello per la continuità dell’operato del governo e del suo programma, nonché di mantenerne la guida, la stessa che ha saputo assicurare in questi mesi, molto travagliati e difficili un polso fermo nelle decisioni e nei provvedimenti intrapresi. Ovviamente siamo sensibilissimi alle ragioni elettorali che richiedono una distinzione politica fra le forze che vi concorrono in base alle grandi famiglie europee, tanto che abbiamo sempre partecipato ai rassemblement democratici, riformatori e liberali dal 1975 in avanti, indipendentemente dalle posizioni di governo.
In questo caso specifico sarebbe stato un suicidio delle forze che sostenevano Draghi separarsi davanti ad un voto anticipato che potrebbe consegnare il paese a chi gli si è opposto e a chi lo ha fatto cadere. C’è dunque un problema di governabilità generale che richiede di riprendere un programma ed un impegno scritto, rispetto ad una coalizione posticcia che deve cominciare tutto da capo. La proposta di continuare l’esperienza Draghi è una formula di successo, anche perché rilanciata su un presupposto politico più omogeneo rispetto a quello venuto meno della solidarietà nazionale. Se invece si preferisce fare un patto diverso fra socialisti e liberali, in nome di una unità volta a sconfiggere le destre, è questa cosa lecita e comprensibile, ma completamente diversa. Intanto si comprendono i distinguo del presidente del comitato di garanzia democratico, liberale repubblicano, Giuseppe Benedetto, il quale si è subito dimesso. Il comitato aveva un presupposto identitario, non politico. Poi ci si può voler affidare ad un altro presidente del consiglio sull’onda del voto e così variare dal programma che si stava sviluppando, e non è detto che, se questo schieramento vincesse le elezioni, non sia capace di una qualche elaborazione fruttuosa ed articolata. Semmai bisogna temere che venga meno la mano ferma dimostrata dall’attuale presidente del Consiglio, perché il problema comune al nuovo centrosinistra, come al vecchio centrodestra, è l’autorevolezza ed il prestigio del leader di cui si dispone.
Sinistra e destra, hanno fatto infiniti errori e possono benissimo aggiungerne un altro, come quello di ritenere di archiviare l’esperienza Draghi in fetta e furia. Ci mancherebbe solo che non si avesse il diritto di sbagliare. Confermare Draghi alla guida del governo, proprio per le qualità dimostrate era un modo di risparmiarsi proprio un simile errore. Anche per ciò che riguarda le visioni identitarie, primo principio di una forza democratica, liberale, repubblicana è l’interesse nazionale e con la caduta del governo questo principio è venuto meno. Il problema non è di battere il centrodestra, ma di ripristinarlo il più urgentemente possibile.