Polemos. Ovvero: guerra, conflitto. Così sarebbe una società civile se non avesse un’anima. Atomi individuali impegnati a farsi la guerra, per affermare la propria singolarità e il potere del farsi altro dalla collettività. Bisogna prendere su di sé lo scetticismo anche quando l’epoché è pura vanità. Cioè non quando pone se stessa in astratto come nello stoicismo, ma quando si impegna per partito preso nella negazione effettiva di ogni alterità. Il suo è il piacere di distruggere. Il suo chiacchierare dice Hegel è “un litigio tra ragazzi testardi dei quali l’uno dice A quando l’altro dice B, per dire B quando l’altro dice A”. La vita stessa è conflitto e governare vuol dire soprattutto questo: governare il conflitto. Uno studio recente di Luciano Violante si intitola non a caso: Insegna Creonte (Il Mulino). Perché il mito non è una favoletta che racconti, il mito è la saggezza dello Spirito di un popolo che si trasmette alle generazioni successive. Si direbbe anzi che non è nemmeno possibile una trasmissione diversa da questa. E Creonte è qui per aiutarci, ogni giorno. A partire dai suoi errori. Quello per esempio, classico, di aver creduto nella modernità. Creonte era un modernizzatore. Ha sbagliato nella comunicazione. Avrebbe dovuto spiegare che Antigone apparteneva al passato, quando la comunità vedeva al centro i rapporti familiari. Antigone ha sfidato la legge, pretendendo di seppellire il fratello ha imposto che il sentimento privato prevalesse sul diritto pubblico che lo aveva dichiarato nemico e quindi senza il diritto degli onori funebri. «Ora la vita non è più organizzata attorno alla comunità familiare, c’è la polis, c’è la comunità che supera la famiglia, c’è la città dalle sette porte e dai numerosi carri che significano il possesso dei cavalli, movimento di persone e di merci, ricchezza. Tutto ciò ha bisogno di un nuovo ordine, di disciplina, di accettazione delle regole della nuova civiltà. Creonte sente il dovere di difendere la luminosa modernità di Tebe contro la tetra legge dell’Ade. Niente è peggio per una città dell’assenza di leggi, dice, e comunque non può favorire un familiare». Eppure Creonte sarà annientato dai suoi errori: l’arroganza, cioè il suo credersi al di sopra di tutto, la sottovalutazione delle argomentazioni altrui, l’ira. Tutte cose da cui un politico dovrebbe tenersi lontano.
Il conflitto ha i suoi confini e spetta alla buona politica mediare e far sì che gli atomi siano diversità e non solitudine. «Una vita politica senza conflitti non è auspicabile. Svetlana Aleksievič, premio Nobel per la letteratura nel 2015 così ha parlato nel 2020 del suo paese, la Bielorussia, da venticinque anni dominata da un dittatore: «Mi sono resa conto che la nostra società è come chi dorme e non riesce più a svegliarsi perché non gli funzionano né i muscoli né il cervello. […] Ci troviamo in presenza di un sistema autoritario e di una società assopita, atrofizzata. Le persone non sono allenate all’indipendenza e nemmeno all’esercizio della critica […]. La società civile è a malapena un embrione». La pluralità delle opinioni costituisce l’in sé della democrazia. Ne derivano il dissenso, la critica, l’opposizione, il conflitto, ma anche il miglioramento. Il conflitto è il sintomo di una insoddisfazione che va affrontata e di una tensione che va governata. La democrazia non è irenica; ma le forze sagge sanno che il conflitto è tanto necessario quanto distruttivo se portato alle sue estreme conseguenze». E scriveva Ugo La Malfa nel 1974: «Se capeggiassi un movimento di rivolta al sistema avrei tre-quattro milioni di voti. Non li potrò mai avere questi voti. Sono un uomo del sistema, della democrazia così come è nata dopo la Liberazione, mi muovo nel quadro dei partiti. L’ansia antipartitica che sta investendo il Paese non può essere accarezzata. Il compito nostro, di noi politici è di incanalarla, non di servirla o essere asserviti ad essa». E prima di lui Machiavelli, nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio individua le ragioni della Roma repubblicana nella capacità di governare i conflitti, evitandone gli effetti distruttivi.