“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”, parole migliori non si sarebbero potute scrivere per identificare la missione della Repubblica Italiana nei confronti dei risparmi dei suoi cittadini, sottintendendo l’importanza e la funzione sociali che proprio il risparmio privato riveste nella vita di una nazione. “Incoraggia e tutela”, riprendiamo ancora queste due parole chiave dall’art. 47 del dettato costituzionale, in quanto il risparmio è emblema della libertà finanziaria di un popolo, libertà nelle proprie scelte economiche, nell’esercizio dei propri diritti di iniziativa economica privata e indipendenza nei confronti degli istituti di credito, istituti questi certamente importanti ed utili ma a costante rischio speculativo e che perseguono, ricordiamolo, il proprio utile aziendale e non l’utilità sociale.
Il risparmio, in Italia, è innanzitutto una questione culturale, basata sui nostri solidi legami familiari e sulla solidarietà intergenerazionale delle nostre famiglie. L’italiano risparmia e tramanda. È stato probabilmente facile per l’Assemblea Costituente prendere atto di quella che è spesso richiamata come una caratteristica peculiare del popolo italiano; l’essere un popolo di risparmiatori. In passato questo è stato un vero e proprio vanto nei confronti dei paesi esteri, oggi invece la parola risparmio viene pronunciata quasi a mezza bocca dai nostri governanti e addirittura come una sorta di peccato originale dalla nomenclatura finanziaria europea.
Se il vento cambierà definitivamente lo scopriremo solo vivendo, ma questa premessa era necessaria per chiarire che la tutela del risparmio è una scelta di campo, una scelta di indirizzo politico e ideale, che si è fatta in modo chiaro quel 27 dicembre del 1947 prendendo atto ed incoraggiando le nostre specificità nazionali. Quella scelta di ormai quasi ottant’anni fa privilegia la libertà del popolo rispetto all’austerità dei vincoli di bilancio e al mercato sempre più pervasivo, dominato da potentati multinazionali.
Il risparmio, infatti, se è una riserva di valore e certezza per il cittadino rappresenta innanzitutto un mancato profitto per gli operatori privati, infatti rappresenta denaro che non viene speso, e anche un mancato guadagno erariale, in quanto quel denaro speso per acquisti produrrebbe tasse, ad esempio l’IVA, oppure tasse sugli utili per le aziende produttrici dei beni e servizi venduti. I nostri padri costituenti hanno evidentemente preferito sacrificare un po’ di fisco e un po’ di Stato privilegiando i cittadini, e noi gliene siamo e saremo sempre molto grati.
La libertà di un popolo in una economia sviluppata, la storia lo sta dimostrando, passa dal risparmio privato così come la sua ricchezza. Possiamo affermare che, al momento, gli italiani godano di ampia libertà, infatti secondo il rapporto FABI relativo all’anno 2021 la ricchezza finanziaria degli italiani ammonta a quasi 5.000 miliardi, con un aumento di circa il 50% negli ultimi dieci anni. La maggior parte di tale ricchezza, è tautologico dirlo, è mantenuta liquida sui conti correnti, aumentati di ben 509 miliardi (+45%) tra il 2011 e il 2021 e che rappresenta il 30% del totale delle masse.
Dati invidiabili da tutti gli Stati d’oltralpe, soprattutto il dato sulla ricchezza finanziaria complessiva netta già richiamato, quei 5.000 miliardi nelle mani del popolo italiano, che sono pari a 8,7 volte il reddito disponibile, rispetto all’8,6 della Francia, al 7,7 del Regno Unito e al 6,8 della Germania. Un governo serio, o chi ambisce a governare il nostro paese, dovrebbe fare proposte adeguate per rafforzare la tutela della nostra libertà finanziaria, che ci rende virtualmente immuni da molte catastrofi come recenti eventi hanno dimostrato; non ultima la pandemia da covid-19, ove tutti noi abbiamo potuto contare su un gruzzolo che ci ha permesso un atterraggio decisamente morbido rispetto a certi schianti visti in altri paesi europei che sono dovuti correre ai ripari, uno fra tutti la Germania che elargì nell’aprile del 2020 assegni ai suoi contribuenti di ben 5.000 euro per far fronte alla carenza di liquidità dei suoi cittadini.
La libertà passa anche da un portafoglio pieno, lo ripetiamo ancora, di cui non devi rendere conto a nessuno, che ti ripari in un momento di diluvio finanziario, da una malattia grave e improvvisa o che ti permetta di raggiungere i tuoi sogni o aiutare un figlio a raggiungere i propri. Come spiegato in apertura dell’articolo questi concetti cozzano pienamente con la filosofia finanziaria maggiormente diffusa tra le istituzioni finanziarie internazionali e sovranazionali; l’italiano, ci viene spesso detto tra le righe, è un povero ignorante. Questa affermazione viene mascherata con un più aulico e accettabile “ha la cultura finanziaria più bassa d’Europa”; l’italiano deve essere incoraggiato, spinto, qualcuno dice obbligato, a spendere, a investire, insomma questo risparmio proprio non piace e purtroppo abbiamo visto già a chi non piace.
Va detto che difficilmente i governi italiani, a prescindere dalla loro natura tecnica o politica o dal loro colore, hanno toccato strutturalmente il risparmio degli cittadini, salvo che in situazioni di emergenza e comunque preferendo colpire alcuni cespiti di ricchezza, pensiamo all’IMU, piuttosto che la liquidità in quanto tale. Il fronte governativo nel tempo sembra quindi aver retto alle frecciatine e occhiatacce della finanza internazionale pubblica e privata, ghiotta dei nostri risparmi. Il pericolo, nelle aule di Montecitorio, è sempre stato scongiurato, sperando che gli italiani non cadano in tranelli filosofici che rischiano di agire da grimaldello o da vero cavallo di Troia nei confronti dei loro risparmi.
Una nuova e perniciosa filosofia, infatti, si affaccia anche alle rive del nostro stupendo mare: la Rental Economy. Se esiste una negazione della libertà finanziaria dei popoli è proprio la filosofia dell’economia basata sull’affitto, appunto la Rental Economy. “Non possederai nulla e sarai felice” ha scritto a chiare lettere nella sua Agenda 2030 il World Economic Forum, una frase che pare aprire nuove prospettive economiche ma che già nella sintassi e nella semantica rivela due grandi inganni. Sarai tu, cittadino, a non possedere più nulla, ma i tuoi beni saranno certamente di qualcuno, però sarai felice, una bella promessa che tuttavia, qualora si rivelasse vuota di realtà, ci avrebbe già fatti precipitare nel baratro della povertà e ci avrebbe già fatto perdere la nostra libertà economica.
La Rental Economy è una filosofia economica basata sull’affitto di ogni cosa; dalla casa, alla macchina, al cellulare, ai mobili, agli elettrodomestici. Insomma, non possedere nulla proposto come paradigma della propria vita economica. I suoi assunti sono essenzialmente due; la sovrapproduzione è un danno per l’ambiente e pertanto affittando costantemente lo stesso bene a persone diverse si eviterà di produrre ulteriore merce, tutelando così l’ambiente naturale dai danni della sovrapproduzione.
Il secondo assunto è che in un mondo che cambia, ove l’essere umano è sempre più sradicato e le necessità sempre diverse, gli oggetti siano un ingombrante fardello rispetto a una vita lavorativa e personale dinamica. Se ti sposti di città o addirittura di nazione dove metterai tutta quella roba? Avrai una casa grande quanto la precedente? Come trasporterai tutti quegli oggetti magari in un altro continente? Tutte domande a cui la Rental Economy fornisce una risposta chiara ed esauriente, promettendo la fine dei tuoi problemi e delle tue ansie.
L’assunto della Rental Economy ha certamente delle basi logiche prima che economiche, ma al contempo nasconde dei rischi gravissimi per la libertà degli individui. L’individuo passerebbe da una sua attuale condizione di consumatore-proprietario a quella di consumatore-debitore. Attualmente il ciclo del consumo classico prevede l’acquisto di un bene di cui mi viene trasferita la proprietà e che sarà mio per sempre e che un domani potrò anche rivendere. La Rental Economy scardina questo paradigma proponendo un modello di consumatore-debitore per cui al consumatore viene solo trasferito il possesso come in un affitto, un affitto di cui però non si libererà mai, come un mutuo che non finirà mai di pagare.
Non sono necessari discorsi accademici per capire che un individuo perennemente indebitato non è un individuo libero. La prassi economica, inoltre, insegna che nessun affitto è gratuito, nessun prestito è privo di costo, nessuna rateazione non ha un tasso di interesse. Davanti alle risposte rasserenanti che la Rental Economy fornisce, ci sono domande a cui non sa rispondere. Cosa succederà se perderò il lavoro e non potrò più pagare l’affitto di quei beni? Quanto costa in più nei vari anni noleggiare continuamente un bene che invece una volta acquistato sarebbe mio per sempre?
Queste sono le domande che si pone, a caldo, l’uomo della strada.
Reputandoci tuttavia un discreto esperto della materia finanziaria ed economica ce le porremo in economichese: se perdessi il lavoro e non potessi più pagare il canone di locazione dei beni, perderei quindi anche il possesso, in senso giuridico, di tutti quei beni? La risposta è, ovviamente, sì. Di quanto si ridurrebbe il mio saggio di risparmio a causa del continuo noleggio? Il rapporto FABI precedentemente citato sottolinea che gli italiani risparmiano circa il 10% del loro reddito mensile; difficile pensare che questo 10% non sarebbero totalmente eroso da una sconsiderata politica personale di affitto dei beni.
La Rental Economy appare al momento una ardita teoria economica per rendere la popolazione delle economie sviluppate difatti nullatenente, gregge pronto alla tosatura dei suoi risparmi e del suo reddito. Non chiediamo certo limitazioni all’iniziativa di quelle aziende, nazionali o estere, che desiderano promuovere un diverso business basato sull’affitto dei beni. Limitare la libertà non è decisamente nelle nostre corde. Preferiamo, seguendo una via più difficile, fornire degli strumenti di ragionamento ai nostri lettori per aiutarli a scegliere consapevolmente la via che riterranno più opportuna per tutelare i loro risparmi e la loro vita economica. Questo nostro scritto è un tentativo di spiegare i rischi occulti a tutti coloro che, magari per raggiungere certi livelli di consumo che il loro reddito non consentirebbe, hanno in animo di farsi sedurre da questi cosiddetti nuovi modelli economici.
Il modello, purtroppo, è molto semplice e presto spiegato fuor di metafora: ciò che è tuo è mio, e ciò che è mio rimane mio. E questo al prezzo del tuo saggio di risparmio, di quel cuscinetto di liquidità – e libertà – costruito tanto faticosamente col tuo lavoro.
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