Se ne è andato in silenzio e troppo tardi il mondo si è accorto della sua grandezza e di quanto ci sarebbe mancato. Ratzinger non è stato solo un grande religioso, è stato un intellettuale, un gigante della cultura, che ha saputo far dialogare fede e ragione. Un bel libro di Riccardo Pedrizzi, con prefazione del Card. Giovanni Battista Re e introduzione di Gianni Letta serve a ricordare la grande eredità che ci ha lasciato.
Un’eredità importante che è un messaggio di speranza, particolarmente urgente in un’epoca come la nostra “stretta tra le maglie di un materialismo pratico estremo”, come scrive Pedrizzi. «Da qui gli ammonimenti continui di Papa Ratzinger ai giovani per non farsi affascinare dal consumismo e dalla superficialità e a non dare valore “a chi ha fatto fortuna”, a chi ha “notorietà”, a chi conquista ricchezze e “l’applauso della gente”. “Conosco il vostro entusiasmo, i desideri che nutrite e l’impegno che ponete per realizzarli – disse Benedetto XVI rivolgendosi ai ragazzi raccoltisi in Sardegna nel 2008 per ascoltarlo – non ignoro, tuttavia, anche le difficoltà e i problemi che incontrate. Penso, ad esempio, alla piaga della disoccupazione e della precarietà del lavoro, che mettono a rischio i vostri progetti; penso all’emigrazione, all’esodo delle forze più fresche ed intraprendenti, con il connesso sradicamento dell’ambiente, che talvolta comporta danni psicologici e morali, prima ancora che sociali”. Il Papa emerito con i giovani non faceva discorsi metafisici, dottrinari, ma entrava nel merito dei problemi, additando alternative di valore al feticismo del guadagno e del successo che “sono diventati i nuovi idoli di fronte ai quali tanti si prostrano con la conseguenza che si dà valore solo a chi ha fatto fortuna ed è famoso, non certo a chi con la vita deve faticosamente combattere ogni giorno”».
Nell’enciclica Caritas in veritate, il Papa denunciava “i pericoli e gli eccessi di una globalizzazione senza regole, della mercificazione dell’esistenza, di un capitalismo ormai privo di etica ed umanità”, puntando il dito “contro un mercato e un’idea di lavoro puramente strumentale, volta solo a creare profitto, nell’ambito di una economia che non è né sociale e tantomeno ‘fraterna’”. «È una requisitoria», dice Pedrizzi, «severa e radicale, ma mirata, saggia, attuale, […], sulla scorta di una millenaria sapienza che non gettava il bambino della libertà economica con l’acqua sporca dell’utilitarismo cieco». L’agire economico non è necessariamente antisociale. «La società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest’ultimo comportasse ipso facto la morte dei rapporti autenticamente umani. È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, non perché questa sia la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso. Non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano». L’errore sta semmai in quel modello di sviluppo all’interno del quale si crede ciecamente nella capacità del mercato di autoregolamentarsi.
Ratzinger ha alzato la voce contro la modernità quando questa pretende di congedare Dio dalla storia. Senza la Verità non c’è etica e non c’è agire, c’è un agitarsi confuso, che in ambito teoretico è un vociare di opinioni, in ambito etico è il caos di una società civile senza regole, l’hegeliano “regno animale dello spirito” in balia della tecnocrazia e dell’onnipotenza dello scientismo positivista. La fede non deve essere un che di intimistico e privato, ma tornare a dare risposte alla nebbia del senso. Perché lo puoi trascurare quanto vuoi il senso dell’uomo e il suo destino. Sarà sempre pronto a farti capire che è dentro la coscienza di ogni uomo, e non se ne è mai andato da lì.
Foto di Papa Benedetto XVI al termine dell’udienza del 21 settembre 2005, autore Massimo Macconi | CC0