Lo strapotere omicida che ha caratterizzato la politica russa negli ultimi cento sei anni è preceduto dall’incredibile fioritura culturale dell’800. Da Puskin, a Tolstoj, a Cechov, a Tchaikovsky. Persino quando trionfa la rivoluzione la Russia ha un Pasternak, un Esenin, una Berberova, un Kandinsky, anche se gli ultimi due per poco tempo a dire il vero e il nostalgico Esenin fu presto trovato impiccato alla manica della sua giacca. È difficile pensare che la cricca putiniana abbia mai frequentato a fondo simili formidabili protagonisti della cultura mondiale. È invece sicuro che il ministro degli Esteri Lavrov abbia reminiscenze del pensiero di Karl Marx, studiato nelle università di Mosca e Pietroburgo persino più degli autori russi. Una capacità di riflessione superiore risulta sempre utile ad escogitare argomenti di una certa efficacia. Se anche il professor Orsini possedesse un qualche retroterra culturale, sarebbe trasmesso in mondo visione, altro che a Cartabianca. Lavrov infatti ha compreso che le insolenze e le minacce non portano a niente ed ha rispolverato lo spirito accademico. Una marsina inamidata sopra la canotta sporca di sangue. La tesi del signor ministro è che l’America sosterrà l’Ucraina solo fino a quando “ne avrà bisogno” per poi abbandonarla a se stessa, come è già successo con l’Afghanistan. Perché questo riferimento alla teoria dei bisogni di Marx? Perché per Marx il bisogno è solo un’espressione del valore del capitale, niente di indipendente dalla divisione del lavoro e dalla produzione della merce. Lavrov avrebbe quindi messo un dito nella piaga. Gli ucraini si fanno troppe illusioni, l’America e l’Europa si stancheranno della inutile esistenza di quel popolo di contadini ed a quel punto quei miserabili torneranno alla mercè della Russia, come era ai tempi d’oro. Perché a proposito di razzismo, nessuno è stato mai più razzista dei russi nei confronti degli ucraini, da Pietro il Grande in poi.
L’argomento usato da Lavrov, come quasi tutti quelli di Marx del resto, è completamente metastorico e messianico. L’America intervenne in Afghanistan, non per un bisogno, ma sulla base di un mandato preciso, quale la cattura di Bin Laden. Una volta eliminato lo sceicco responsabile dell’assalto alle Torri gemelle, l’amministrazione statunitense ha fissato la data per il disimpegno. A dimostrazione per l’appunto che non c’era bisogno alcuno di un intervento nella Regione, e tantomeno di un qualche prolungamento. Se gli Usa avessero dato retto ad un bisogno, si sarebbero ritirati appena compiuto il blitz di Abbotobad. L’America sostenne per altri dieci anni l’Afghanistan senza alcun bisogno. Se poi volessimo essere ancora più precisi il termine di paragone per il sostegno americano non dovrebbero essere l’intervento in Afghanistan del 2001, assolutamente particolare, ma quello avvenuto contro l’invasione sovietica degli anni ’80 del secolo scorso. Un sostegno alla resistenza afghana, in particolare a quella di Massud, non ai talebani, che durò esattamente sino a quando l’Unione sovietica non fu obbligata a mollare la presa e a ritirarsi. Piuttosto andrebbe detto che l’Urss aveva un maggio realismo del governo russo di oggi, perché appena tastato l’ampliamento del potenziale difensivo afghano, levò le tende ed in fretta.
Quando si tratta della definizione tematica di bisogno, dispiace per Lavrov ma quella dei capitalisti statunitensi non coincide per nulla con quella del socialista Marx. Il bisogno non è un dato meramente economico o per lo meno non è solo funzionale all’economia. La scelta del sostegno militare all’Afghanistan allora, all’Ucraina di oggi, o all’Inghilterra nel 1941, è qualcosa che piuttosto riformula il concetto di bisogno secondo la visione strategica di una grande potenza democratica. Lo si vede anche in Corea o in Vietnam. Ed è una sciocchezza dire che questo serve all’incremento dell’industria delle armi, perché l’America spende comunque ogni anno in tecnologia militare ed in aggiornamenti e manutenzione che come abbiamo visto, la Russia ignora quasi completamente. Questa concezione della democrazia mostra il suo punto debole nella sua fase espansiva. Per lo meno esportare la democrazia, comporta un problema sin dal tempo della Rivoluzione francese. In compenso serve a sbarazzarsi dei tiranni o per lo meno a limitarne le possibilità della loro di espansione. Questo è in effetti il supremo bisogno americano, spazzare via le dittature. Al Cremlino avrebbero davvero bisogno di iniziare a pensarci.