Prima di riformare la costituzione repubblicana, bisognerebbe avere la cura di averne un’idea, innanzitutto del lessico. Il termine “potere”, ad esempio non è mai usato nell’articolato costituzionale. Il Parlamento ” si compone di due Camere”. Il presidente della repubblica “è eletto”, le sue sono “funzioni”. Il presidente del consiglio dei ministri “dirige”. Non parliamo nemmeno della Magistratura che è derubricata come un semplice ordinamento sottoposto alla legge. Che questi siano “i quattro poteri” dello Stato, come diceva il vicepresidente della Costituente, Giovanni Conti, non ci piove, ma presi singolarmente nessuno è “un potere”, perché il potere dello Stato in Repubblica, è solo del popolo. Il secondo capoverso dell’articolo 1 è chiarissimo e inequivocabile, “la sovranità appartiene al popolo”, il potere nella Repubblica democratica è esclusivamente popolare ed è solo la volontà popolare alla base della legittimità repubblicana. Il fondatore della repubblica democratica moderna, Rousseau, definisce il sovrano necessariamente “plurale” ed il governo soltanto, “un servo” della pluralità sovrana. Il presidente del consiglio, “il premier” per Rousseau che detestava l’ordinamento aristocratico inglese, sarebbe solo il primo servitore dello Stato.
Nessuna costituzione repubblicana contemporanea prescinde completamente dal Contratto sociale di Rousseau, se non per il fatto che Rousseau vede il popolo uno, non divisibile in partiti. La Costituzione americana e quella giacobina in Francia, entrambe nate dalla Rivoluzione, seguono lo stesso principio rousseauiano, i partiti che esistono, sono solo quello patriottico e quello del nemico. Quando i partiti si affacceranno sulla scena democratica avranno caratteristiche derivate da questo presupposto, la patria prima della fazione. La costituzione della repubblica italiana del 1948 comporta un’eccezione, dove la figura del ruolo del partito viene istituzionalizzata, articolo 49 anche se come un semplice diritto, rispetto ad un testo in cui pure si prescrivono dei doveri. Il riconoscimento del partiti nella Costituzione nasce da una storia opposta a quella Americana e Francese, per cui il popolo italiano, invece di aver cercato di imporre la sovranità plurale rousseauiana, si sottomise ad una individuale mussoliniana. Tutta la Costituzione repubblicana di un’Italia uscita dalla guerra è pensata ed elaborata in opposizione al regime che aveva concentrato il potere in una sola persona.
Non è dunque uno scandalo a distanza di ottant’anni voler ripensare la struttura costituzionale dello Stato e ritenere che questo possa funzionare meglio, soprattutto considerate tutte le modifiche costituzionali apportate negli anni, alcune tali da aver portato la vita Repubblicana al limite della contrapposizione istituzionale. Invece è un errore continuare a modificare la costituzione a colpi di maggioranza, portando il paese, che nel complesso guarda alla questione costituzionale come ad una perdita di tempo, al referendum. La Repubblica è nata da un referendum, la Costituzione è nata dalla discussione in un’Assemblea. La logica del o la va o la spacca, che ripropone in maniera un pò guascona il presidente del Consiglio è la stessa tentata dai tempi di Marat fino a quelli di Renzi. Non proprio la più propedeutica per una riforma compiuta, ordinata e soprattutto, di successo.
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