La pubblicazione recentissima, a cura di Antonio De Martini, dell’opuscolo “I Repubblicani e la Repubblica presidenziale nel corso della loro storia” è l’occasione per tornare sul presidenzialismo tanto caro all’autore: Randolfo Pacciardi. La nostra ‘strana’ Repubblica ha fatto dei presidenti secondo Pacciardi come dei re costituzionali, “li ha resi costituzionalmente irresponsabili e senza poteri”. «Regnano e non governano come i re della monarchia parlamentare, anche se qualcuno di essi ha tentato talvolta di rompere la camicia di forza che lo obbligava ad essere pomposo pupazzo decorativo».
Dal canto suo, il Parlamento, «la sola istituzione eletta dal popolo, sempre teoricamente, dovrebbe essere il centro motore della repubblica parlamentare. In realtà le liste elettorali per elezioni dei deputati e dei senatori sono formate dalle direzioni nazionali dei partiti in collaborazione con le direzioni locali. Si può essere inclusi o esclusi dalle liste secondo il giudizio insindacabile della direzione o della maggioranza della direzione. La Costituzione dice, giustamente, che una volta eletto, il parlamentare deve comportarsi secondo coscienza, senza vincoli di mandato, ma in realtà se aspira ad essere rieletto, deve tener conto che le liste elettorali dipendono dal valore della direzione dei partiti e dei suoi gerarchi. Il parlamento nomina i membri del governo. Il deputato o il senatore deve crearsi una posizione di rilievo nel partito se aspirerà a diventare ministro. Deve cioè creare una sua ‘corrente’. La ‘correntocrazia’ è un elemento importante di quella dittatura occulta che si chiama partitocrazia. È la partitocrazia che domina il parlamento e nomina i governi. Con quali criteri? Nella ripartizione, va da sé, si deve tener conto prima di tutto della forza dei partiti: 15 o 30 per cento al partito più forte, un numero proporzionale ai partiti che hanno forza minore anche se non loro seno avessero la fortuna di avere dei geni politici, economici, amministrativi. Poi bisogna tener conto delle regioni, tante al nord, tante al centro, tante al sud; poi tante alla Camera e tante al Senato. Tutti i criteri, insomma, meno l’essenziale: la competenza. Si incoraggiano le fazioni o, come diceva Mazzini, le “caste” al posto delle “caste sparite”. Un medico può andare a dirigere le Finanze, i Trasporti, i Lavori Pubblici. Un valido ingegnere può essere designato a dirigere la sanità o la politica estera o dirigere indifferentemente a volta a volta tutti i ministeri come spesso è avvenuto nel regime parlamentare monarchico e in quello repubblicano che fabbricano personalità onniscienti. L’una e l’altra camera sono state sempre dominate da verbosità inconcludenti, da spirito fazioso, da incapacità realizzatrice. Le decisioni sono state spesso incompetenti, generiche, superficiali, confuse e sempre tardigrade».
La Repubblica Presidenziale, si dice o si ritiene, umilia il Parlamento e le sue funzioni. Falso, dice Pacciardi. La “sovranità popolare” è autentica democrazia e non la finzione ipocrita a cui assistiamo oggi. «Il Capo dello Stato eletto dal Popolo non esiste come anacronisticamente avviene da noi: un Capo dello Stato senza potere, “irresponsabile” per definizione, capo di… niente. Il Governo lo nomina e il Presidente della Repubblica sceglie i ministri nel basto ambito della nazione per essere certi ella loro competenza. Dinanzi al Parlamento, dinanzi alla Nazione, è il presidente il personaggio responsabile che merita la devozione o paga per tutti. Ha multipli collaboratori, anche troppi, e consiglieri costituzionali ed extracostituzionali. Le sue decisioni sono quindi di fatto collettive, ma meriti o colpe sono esclusivamente suoi. Non sono i partiti che formano il governo come avviene nella nostra Repubblica con balordi criteri».