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Quale risposta dare ai quesiti del New York Times sull’Ucraina

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
16 Giugno 2022
in L'editoriale
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Il dubbio del “New York Times” espresso qualche settimana fa, fino a quando l’America potrà sostenere l’Ucraina, è oramai liberamente tradotto dalla nostra stampa in “fino a quando l’Ucraina sarà in grado di reggere”.  Può darsi benissimo comunque che questa domanda sia la stessa  che circola all’interno della Casa Bianca. In questo caso, sostenere l’Ucraina, sarebbe stato un errore, perché sia alla prima versione che alla seconda, la risposta è semplice e medesima, l’Ucraina non è in grado di reggere all’offensiva russa nemmeno tre giorni. Questo era il tempo stimato da chiunque perché Putin prendesse Kyiv e l’intera regione dato che il Donbass lo si dava già russo per scontato. Si diceva che non ci sarebbe stata nessuna possibile resistenza nel Donbass, per lo meno questa era la stima degli analisti militari, quando iniziarono a convincersi che invece sì, in effetti Kyiv, poteva resistere eccome.

La resistenza ucraina è dettata solo dalle armi occidentali e speriamo da un numero di consiglieri occidentali sufficienti a gestirle. In questo modo si è salvato il governo legittimo dell’Ucraina e costretto i russi a ripiegare sulle due sedicenti repubbliche annesse. La dottrina Kissinger, il guru della politica internazionale democratica, prevede un accordo sulla base del riconoscimento di quanto i russi avrebbero già conquistato, con la particolarità che Kissinger non prevedeva che i russi dovessero ancora prendersi Severodonestk, chi caspita sapeva che esistesse Severodonestk, probabilmente nemmeno Kissinger. Quindi Kissinger ha dato per scontato che il Donbass fosse politicamente filorusso, quando per la verità a vedere Mariupol, settemila passaporti consegnati in una citta che aveva più di duecentomila abitanti e ora ridotta in macerie, farebbe credere il contrario, ovvero che nemmeno nel Donbass i russi hanno un qualche sostegno se non da parte di sparute minoranze.

La dottrina geopolitica non si preoccupa particolarmente dell’identità delle popolazioni, questa infatti è destinata a mutare a secondo degli eventi. Chi avrebbe mai pensato nella prima metà del ‘900 che gli ucraini avrebbero voluto staccarsi dalla Russia, rinunciare al diritto di essere russi, essere solo e semplicemente ucraini? Anche se Voltaire scriveva sin dalla metà del ‘700 che l’Ucraina voleva essere libera, nessuno o pochi credevano che l’Ucraina non volesse essere russa. I russi non avevano ancora praticato sulla popolazione ucraina lo sterminio sistematico iniziato negli anni venti del ‘900 e non se ne potevano considerare gli effetti. Oggi che si vede la condotta dei russi in questi tre mesi di guerra, escluso Capuozzo, si  ha l’esatto quadro della situazione storica, ovvero che gli ucraini non rappresentano nulla per i russi, si possono affamare, torturare, bombardare e depredare tranquillamente.

Gli ucraini non si erano mai ribellati. I dirigenti sovietici ucraini, davanti all’orrore causato dalle brigate che facevano razzia sulla popolazione, nel secolo scorso si suicidavano. Crusciov, che comandò l’Ucraina per ordine di Stalin, si sgravò la coscienza regalandole la Crimea, quella che Putin appena potuto si è ripreso. La Crimea in effetti era russa, anche se base dei bianchi, che vennero sterminati prima degli ucraini, ma il Donbass no, non lo è mai stato e lo si capisce dalla misura delle devastazioni in atto. Per questo sarà difficile la realizzazione del piano Kissinger. Tutti gli ucraini costretti ad abbandonare il Donbass, vorranno ritornarvi. E per ripopolare il Donbass Putin dovrà trasferire russi di altre regioni.

Quando Hitler volle liberare le popolazioni tedesche in Renania, in Slovenia, nei Sudeti, le popolazioni tedesche esistevano davvero, ed erano una netta maggioranza. Tanto che le truppe naziste non spararono un colpo sino al 1939. A Maribor vennero accolte dalla folla con mazzi di fiori, ragazze sorridenti e imbellettate nelle strade in festa. Tutte immagini di cinegiornale che i governi occidentali guardarono e che ebbero un grande impatto. È stata ricordata recentemente in un editoriale del Corriere della sera, la tesi di laurea di John Fitzgerald Kennedy  secondo la quale l’Inghilterra non era pronta nel 1938 a fare la guerra alla Germania. Per la verità non era pronta ancora nel 1941. La ragione per cui nel ’38 ci fu questa accondiscendenza generale nei confronti di Hitler fu che in fondo la Germania rivendicava la sua diffusa nazionalità. Lo stesso presidente francese, l’ebreo Leon Blum avrebbe potuto disperdere i nazisti in Renania con un solo squadrone di cavalleria e il suo successore Deladier, arrivare dritto a Berlino quando quelli entrarono a Vienna.  Nessuno fece niente, Blum invitò Goebbels a prendere un the, si ritenevano affari tedeschi. Tutto cambiò quando Hitler arrivò a Praga. Che caspita c’entrava Praga con la Germania? Per cui invasa la Polonia pronti o non pronti, si entrò in guerra.  

Per quale motivo Putin dovrebbe accontentarsi del Donbass, quando ha Odessa alle sue porte e poi la Moldavia? L’autocrate ha appena detto che la Svezia era giusta rivendicazione dell’impero Russo, figurarsi la Polonia, e già manda la sua flotta nel Mediterraneo, perché per l’appunto prendere il mar Nero senza voler dominare il Mediterraneo non ha senso politico alcuno. Figurarsi se i russi si fermano da loro. Persino Hitler era molto più ragionevole, la Svezia la ritenne neutrale, la Finlandia, la rispettava, sulla Spagna non aveva nessuna pretesa, quando i russi fatta la guerra alla Finlandia e alla Svezia, portarono alla rovina il governo repubblicano spagnolo.

Per cui la risposta ai quesiti del “New York Times”, è in verità semplicissima. Si sostiene l’Ucraina fino a quando la Russia non è stata sconfitta e se non si sconfigge la Russia, l’Ucraina prima e poi il resto d’Europa, avranno i giorni contati, perché solo l’Inghilterra e forse la Francia, sono in grado di vincere una guerra contro la Russia. Mentre l’America se mai volesse è in grado di schiacciarla, la Russia, come un verme.

Tags: CrusciovKennedy
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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