.
Devo confessare che ho letto 2 volte articolo di Bruno dal titolo “La giusta dose di cinismo”, devo purtroppo prendere atto che ho capito ben poco delle tesi politico economiche alla base dello scritto in questione. Sul provvedimento del salario minimo c’è stato da subito un grande fuoco di sbarramento del destra-centro, con argomentazioni quasi sempre surreali, se non al limite del grottesco. Si va dalla critica abnorme e razionalmente insostenibile di Tajani, che dice di trattarsi di un provvedimento da Unione Sovietica. Per un ministro degli esteri è singolare dimostrare una tale ignoranza circa la legislazione repressiva e coercitiva messe in atto dal Soviet, che mai si preoccupava del salario minimo da garantire ai lavoratori, ma badava sono che questi lavorassero e tacessero. Tajani confonde quanto avviene nei moderni paesi capitalistici europei, con quanto vigeva nei paesi ad economia comunista. C’è poi una un’altra tesi, che potrebbe apparire politicamente più sofisticata e più suadente, dei principali esponenti della maggioranza parlamentare che obbietta non essere il salario minimo la soluzione efficace; e che bisogna mettere in campo una politica economica che possa consentire un consistente aumento dei salari, come automatica e diretta conseguenza. Se non fosse una affermazione irresoluta e strumentale, sarebbe “l’uovo di Colombo”: la soluzione brillante del problema. Solo che tutto ciò richiederebbe una politica industriali ed una allocazione delle risorse finanziarie conseguenti; e comunque un orizzonte temporale quale è quello del Pnrr. Ma nel frattempo che succede con i tre milioni di lavoratori che hanno una retribuzione oraria mediamente inferiore del 40% rispetto quella riservata ai lavoratori con contratti “NON barbari”. In base a queste riflessioni, ho preso atto della mia personale insufficienza a comprendere le tesi e gli obiettivi dell’articolo di Bruno. Forse egli intende allinearsi, con sue specificità, a quelle posizioni prima da me rilevate? A me sembra che Bruno nel suo scritto, al di là delle argomentazioni di colore e di cornice (non certo dirimenti), abbia focalizzato una questione di effettiva portata politica industriale; quando egli dice, sintetizzo, che in un sistema produttivo (ritenuto) fisiologico, l’imprenditore, in presenza di una consistente realtà di disoccupazione, possa scegliere le forze lavoro da ingaggiare, e le politiche retributive che ritiene più consone alla gestione economica della propria azienda. E per reprimere queste situazioni, se definite irregolari, l’Italia dovrebbe assumere le sembianze di Stato di polizia; con conseguente dispiegamento di strumenti di repressione. Questa però era la situazione vigente nelle economie liberiste del 19º, ed in parte, del 20º secolo. E da ciò l’autore farebbe discendere la considerazione della inutilità dell’inserimento legislativo di un provvedimento di regolamentazione del salario minimo. Se questo è, ma questo io ho capito, allora credo che si sia smarrita l’idea e l’efficacia connessa alla politica sociale di mercato, che si sostanzia attraverso gli investimenti, la crescita, lo sviluppo, la produttività. La domanda da porsi, a mio parere, allora dovrebbe essere se sia compatibile con un sistema economico, industriale, occupazionale, e sociale moderno, democratico ed occidentale che una parte di struttura produttiva operi sul mercato con un apporto di valore aggiunto di gran lunga inferiore alla media vigente nel paese. Attività produttive, in sostanza, che sembrerebbe potersi svolgere esclusivamente per l’effetto di una politica di retribuzione del lavoro insufficiente per operare adeguatamente sul mercati concorrente; e peraltro a garantire un livello dignitoso di vita ai lavoratori dipendenti. Su questi aspetti patologici, e come eventualmente gestirli e correggerli, unitamente ai tanti altri problemi tuttora aperti nella società italiana, dovremmo discutere e confrontarci.
La Voce Repubblicana ha pubblicato almeno altri 5 articoli dedicati al minimo salariale iniziando con il riprodurre un testo di Davide Giacalone apparso sulla Ragione più di un anno fa. Considerati nell’insieme speriamo questi possano risultare più esaurienti di “La giusta dose di cinismo”. Testo dettato dall’amarezza di vedere una opposizione indifferente al debito pubblico, aumentato a dismisura sotto il governo Pd cinque stelle, inseguire soluzioni che la sinistra democratica, con la Cgil di Lama e Trentin in testa, ha sempre disdegnato, puntando piuttosto all’aumento salariale. Il sintomo di una involuzione inquietante avvenuta in pochi anni in un’area politica a cui pure noi apparteniamo storicamente. rb