Il venti settembre si ricorda Mazzini rinchiuso in carcere a Gaeta. Sessantacinquenne, senza dover aver necessariamente un’ indole avventurosa, Mazzini voleva sbarcare a Palermo far insorgere la città, risalire il meridione, prendere Napoli e arrivare a Roma. Tutto questo significava ricompiere l’epopea unitaria di Garibaldi ed invertirla, in modo da battere sul tempo l’esercito regio piemontese. Una follia? Se si legge dello schieramento militare e poliziesco adibito per fermarlo alla marina di Napoli la mattina del 5 agosto, bisogna dire che lo si prese parecchio sul serio per quanto oramai la sua rete di sodali fosse infiltrata da spie e voltagabbana. Una volta in carcere Mazzini fu oggetto di riguardo. Gli si diedero libri come lo Hamlet di Shakespeare, l’Ettore Fieramosca di Massimo d’Azeglio e persino i sigari che faceva fatica ad acquistare. Nulla insomma che potesse consolarlo. “L’ideale della vita sfumato”. “Roma profanata”. Ecco il pensiero di Mazzini trascritto nelle lettere di quei giorni. L’unità d’Italia veniva prima della Repubblica? Quella sabauda era una annessione al regno del Piemonte, non l’unità nazionale.
Ha quasi dell’incredibile che il regno pontificio fosse rimasto in piedi ancora tanto tempo. Napoleone terzo già nel 1858 rimase stupito alla notizia. “Ancora c’è lo Stato Vaticano?”, disse al suo ministro che gli annunciava l’udienza di un ambasciatore del pontefice. L’esercito francese era chiamato a soffocare sommosse esplose in ogni dove contro il papa. Dal tempo del governo Cavour iniziarono le trattative segrete con la diplomazia pontificia per consegnare Roma a casa Savoia, eppure si dovette aspettare altri 18 giorni dopo la sconfitta di Sedan e la deposizione dell’imperatore francese per muovere l’esercito regio. La difesa francese di Roma non era un decisione imperiale, ma repubblicana a cui Gambetta costituzionalmente sarebbe stato tenuto ancora il venti settembre del 1870. Escluso qualche zuavo esaltato, nessuno pensò più davvero di opporsi all’esercito sabaudo, tanto meno il papa. Le cronache degli scontri sono tutte piuttosto confuse, fu sparato qualche colpo di artiglieria si rispose con qualche fucilata. Si vagheggia di Bixio che voleva regolare dei sospesi, di qualche decina di bersaglieri caduti, presumibilmente ancora meno zuavi. Una giornata sanguinosa a nascondere una farsa. Luigi Magni ne offre una rappresentazione cinematografica con una battaglia al Pincio. Non si sa esattamente di quali documenti disponesse, comunque persino la ricostruzione per il grande pubblico, evidenzia scarsa intensità e durata dei combattimenti che non sono riportati in nessuna storiografia militare del Risorgimento.
La formula “libera Chiesa in libero Stato” ideata dal visconte di Tocqueville il paladino del cattolicesimo in Francia, fu perfetta per tutelare il privilegio della chiesa cattolica apostolica romana consolidato nei secoli. Edgar Quinet la ridicolizzava, “è come dire libero Zar in libera Russia”. .La Prima repubblica francese, la Chiesa la sottopose alla legge ed il clero al giuramento costituzionale. Solo il concordato ovviò a questa sottomissione imposta dalla Rivoluzione. Napoleone non voleva patire oltre una guerra di religione come in Vandea. Il nipote, Luigi Bonaparte, riprese la stessa politica con scarso entusiasmo. Cacciò Tocqueville dal ministero degli Esteri e pensionò Oudinot, ovvero coloro che indicò come responsabili di aver soffocato la Repubblica di Roma, quando lui aveva una trattativa aperta con il nuovo governo. Luigi Bonaparte era obbligato alla protezione della persona del papa, che la Costituzione romana avrebbe garantito.
“Roma liberata dai Savoia vale come Gubbio”, scrive ancora il vecchio Mazzini dopo il venti settembre del 1870. Ventun anni prima, nel suo cappotto stinto, a capo scoperto era entrato a Roma da piazza del Popolo e a piedi aveva raggiunto l’Assemblea riunita al palazzo della Cancelleria. Nemmeno a dirlo il palazzo appena confiscato sarebbe tornato presto nelle vaste proprietà della Chiesa. Girato l’angolo della piazza di Campo de’ Fiori, dove si erge il monumento a Giordano Bruno, oggi vi sventola imponente un gonfalone pontificio. Buon venti settembre.
foto Museo nazionale del Risorgimento di Torino