Dopo il tracollo di Bakhmut, la prova provata che i russi non sfondano la linea del fronte nemmeno concentrando le loro truppe secondo una tattica più convenzionale rispetto a quella a tenaglia dell’invasione, la guerra si trova di fronte ad una situazione completamente inedita. La Russia è sotto attacco a Bolgorad, mentre Zelenskj si dice convinto di poter finalmente iniziare una controffensiva per liberare i territori occupati, Crimea inclusa. Le incursioni a Bolgorad come probabilmente gli stessi droni esplosi sul Cremlino, senza nessuna efficacia per la verità, sono rivendicati da un esercito di liberazione legato ad un gruppo di oppositori russo, inquadrato da tempo nell’esercito ucraino. Non si può sperare che questi possano ottenere un qualche consenso in patria. Servono invece a scalfire la sicurezza dell’integrità territoriale russa, ponendo l’esigenza di difendere aree finora estranee a quelle del conflitto. Un diversivo utile a mostrare i piedi di argilla di una grande potenza. Quanto alla controffensiva promessa da Zelenskj sulla base della semplice analisi logistica militare, essa è destinata a fallire, a meno che i russi al fronte non colgano l’occasione per darsi a gambe levate. Cosa che non si può nemmeno escludere nel caso quei soldati non ne possano davvero più. Se invece volessero resistere, Zelenskj dispone di un armamento principalmente difensivo e non ha sufficiente copertura area, per farli sloggiare. La famosa controffensiva volgerebbe in disastro i successi ottenuti finora sul campo, sempre che gli ucraini non abbiano un potenziale militare ignoto.
La situazione della Russia non è così disperata come gli insuccessi bellici porterebbero a credere, anzi. L’embargo per gli armamenti ed i pezzi di ricambio è stato complessivamente aggirato grazie a paesi come il Kazakistan e l’Iran, ma anche l’India. Se l’esercito russo si è dimostrato incapace nell’attacco, difensivamente può farsi valere eccome. Il Washington Post ha appena descritto il cerchio magico di Putin nel panico. Per la verità è già dall’ottobre scorso che si legge dei dissensi e delle discussioni interne a Cremlino sulla stampa e tutto questo senza contare l’effetto al vetriolo avuto dal capo della Wagner Prigozin. Il suo interventismo contro l’élite e l’esercito regolare ha fatto di Prigozin il miglior sponsor dell’Ucraina. Per la verità la crisi nella dirigenza russa fu evidente ed in diretta televisiva prima ancora dell’offensiva, con il battibecco fra Putin ed il capo dei servizi segreti Naryskin. Stupisce che Putin non sia già caduto, non il dissenso al Cremlino. Putin ha dimostrato una forza di controllo dell’apparato russo superiore a quella di Stalin e Stalin usava fucilare tutti, oppositori, medici, generali e persino i suoi sodali.
Si capisce perfettamente che Zelenskj abbia fretta di liberarsi del cancro penetrato nella sua nazione. La Russia si trova sull’orlo di un burrone con tanti vicini affamati che ne presagiscono il collasso, non solo la Cina, ma persino la Bielorussia. Quello che dovrebbe essere il più vicino alleato di Putin, Lukashenko si è mostrato il più infido, per cui figurarsi paesi che i russi li detestano da sempre come i georgiani, i moldavi, gli azeri. Per non parlare dei polacchi che pur di invadere la Russia ai tempi della Grande Armata attraversavano il fiume Niemen a nuoto cantando. La linea dl comando ucraino deve saper considerare a fondo le capacità dei russi nella difensiva che sono sempre state straordinarie. Ci mancherebbe solo, ora che sta per cadere, di rimettere in sella Putin come il difensore del suolo russo, il nuovo Alexander Nevsky.
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