Di tutte le giornate amare che dovette vivere Mazzini, il venti settembre del 1870 merita un posto a parte. Non tanto perché ormai 65 enne viene condotto in carcere a Gaeta, mai probabilmente ricevette in vita sua tanti riguardi da parte della polizia regia, quanto per il suo ultimo fallimento insurrezionale. La sua impresa per anticipare i Savoia a Roma, rappresenta la fine dell’epopea eroica italiana, la conclusione stessa del tentativo rivoluzionario italiano.
Mazzini aveva già consumato la sua rottura politica con Garibaldi, ancora pochi mesi e vi sarà anche quella umana, e visto come la maggior parte del suo movimento sia stata oramai risucchiata dalle speranze unitarie sollevate dalla monarchia, quanto ciò che lui più avversa. Eppure non se ne lamenta, il Piemonte impugna una bandiera che lui esule deve tenere richiusa in un cassetto. La sua speranza era stata lo sbarco in Sicilia di dieci anni prima. Tutta l’azione garibaldina venne concertata da Rosolino Pilo e Crispi senza i quali non ci sarebbe mai stato un successo nell’Isola. Pilo muore, Crispi ahilui, gli resta. Mazzini conta ancora che il successo di Garibaldi a Napoli induca il guerrigliero a assumere la dittatura e indire il referendum. Garibaldi cederà al re, senza nemmeno turbamento apparente. Può essere benissimo che Garibaldi, né autentico militare, né uomo politico, temesse di trovarsi schiacciato fra le truppe borboniche residue, e i piemontesi avanzanti. Era pur passato per il disastro della Repubblica romana, di cui ebbe gravi responsabilità lui stesso, attaccando i francesi preventivamente. In ogni caso si piegò alla soluzione più facile, la sottomissione alla corona, rigettando le proposte di Mazzini precipitatosi a Napoli da un vecchio sodale. Garibaldi nel 1860 era solo più la cariatide di quello del 1849. Come un infermo che si sveglia dal sonno, compreso il suo tragico errore, Garibaldi ne fece subito un altro, attaccando impropriamente lo Stato della Chiesa, e anche qui Mazzini gli aveva fatto sapere di lasciar perdere. Morale, in dieci anni, fra riflusso garibaldino e fasti sabaudi, Mazzini si ritrovò completamente isolato. Il tentativo di promuovere un moto popolare nel mezzogiorno per liberare Roma prima dei piemontesi, non aveva nemmeno una possibilità di successo.
Nella sua cella a Gaeta mentre a Roma si festeggia nei saloni dei principi della Chiesa, Mazzini si rimette alle letture delle tragedie di Shakespeare che il governatore della prigione gli provvede volentieri. Cymbalin, “si va incontro al tempo come questo ti attende”. Il venti settembre è la data del capovolgimento della storia patria. Pio nono, rifugiato a Gaeta nel 1849 ora è libero a Roma da dove Mazzini lo aveva cacciato, Il Piemonte incarcerando Mazzini nella stessa località ventun anni dopo, omaggia il pontefice della sua vendetta. Mazzini, come scriverà Jessie Mario, dalle sbarre vive invece solo la fine del suo sogno.
Se uno pensa al giocondo e rubicondo Cavour, rispetto al tetro Mazzini, sarebbe indotto a credere che quello si che fosse un modello di successo. Come avrebbe ancora scritto ammirato Gramsci, il conte di Cavour, “il partito d’Azione ce lo aveva in tasca”. Si dimentica solo che il conte, crapulone com’era, nel 1861 è già morto a soli 50 anni. Per quanta influenza possa aver avuto nella costruzione futura dello Stato unitario, quanti eredi possa aver tenuto nel panciotto, il conte è l’unico caso di costruzione di uno Stato unitario da parte di un ministro riposto nella tomba da già nove anni. Di certo Cavour, non si macchierà delle soperchierie piemontesi al sud, degne di una potenza coloniale. Mentre il famoso principio, “libera Chiesa in libero Stato”, che tanto commuoverà i liberali italiani, non è di Cavour, è di Tocqueville che lo redasse appunto contro il regime della Francia Rivoluzionaria. Cavour lo riprese acriticamente. In questo principio si annida la crisi dello Stato unitario sin dal primo momento. L’Inghilterra e la Germania di chiese si fecero le loro. La Francia l’asservì a colpi di baionetta la Chiesa, mentre la Spagna dove appunto la Chiesa era libera, questa comandava attraverso i gesuiti. Ecco il quadro europeo dell’800, quando i vecchi imperi di Austria e Russia, osservanti dei principi della Chiesa, tenevano appunto gli uomini ancora in catene. E dunque è vero, Cavour da morto poté sul futuro Stato nazionale più di Mazzini vivo.
L’intera epopea mazziniana si potrebbe quindi concludere con la fanfara dei bersaglieri nella città eterna e tranquillamente consegnare alla storia. Il Mazzini che torna in Inghilterra è poco più di un consumato fantasma, incapace di fare più paura a nessuno. Non fosse che trent’anni dopo egli in Europa appare come leggenda. Non sarà solo Nietzsche, il pensatore più influente sul ‘900, a restare accecato da Mazzini, tanto da scriverne persino agli amici, o Carlyle, in fondo ospite del rivoluzionario italiano, o gli amici francesi che da Quinet e George Sand non l’hanno mai dimenticato. Thomas Mann descriverà Mazzini, come il grande avversario del nazionalismo tedesco e lo indicherà ancora nel 1918, Considerazioni di un impolitico, come il campione della democrazia resiliente. Mentre l’Italia cavouriana del 1870 precipita nell’abiezione del fascismo, in Europa la democrazia resiste racchiusa in una sola stella, quella sorgente di Giuseppe Mazzini.
Domus Mazziniana Pisa
Sono convinto che ancora oggi la Chiesa ragiona ed agisce come allora. Negli anni ’90 dello scorso secolo ho conosciuto un signore che garantiva 4 miliardi se la Chiesa vendeva alla Massoneria la villa situata nel punto esatto dove avvenne lo sfondamento delle truppe Francesi, determinando cosi la fine della Repubblica Romana;
per Loro sarebbe stata una cosa meravigliosa. Bene, la Santa Sede la vendette a un Editore sposato con una attrice, per molto meno di quanto offerto dai Massoni, i quali furono costretti ad acquistarne una vicino, quella attuale. E’ la dimostrazione che Loro non dimenticano.