Nello spazio temporale di un anno il governo Meloni ha visto un trafficante d’armi russo posto agli arresti domiciliari scappare tranquillamente per tornare indisturbato nel suo bel paese. Un recluso per terrorismo rimpatriato su iniziativa del ministro Guardasigilli e contro il parere della magistratura, in Iran. Un soggetto, ritenuto dal ministro degli Interni “pericoloso”, riaccompagnato con volo di Stato in Libia, mentre il ministro Guardasigilli dormiva. Quest’ultimo caso è stato piuttosto sgradevole per ragioni di immagine. Ripreso dalle telecamere, tutto il mondo ha visto una folla che sbeffeggiava e spernacchiava l’Italia. L’altra faccia del “piano Mattei”, quella più tangibile e popolare fra i bedù.
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Quali possano essere a questo punto le ragioni o le giustificazioni addotte dal governo, non hanno francamente nessuna rilevanza. Il presidente del Consiglio può anche rinchiudersi a Palazzo Chigi con i suoi avvocati senza caricare il parlamento. Tanto l’Italia sotto questo governo appare come un porto franco per qualsiasi criminale l’attraversi. Come questi personaggi arrivano, in quali imprevisti possano incorrere, comunque ne escono, lasciando al paese i problemi. Il governo Meloni da la caccia solo agli immigrati irregolari, li blocca, li spedisce in Albania, ha costruito dei lager nuovi di zecca per trattenerli a migliaia. I ricercati internazionali, invece li rispedisce a casa e quelli ti sfottono pure in presa diretta. Meno male che il presidente del Consiglio non è ricattabile. Pensate cosa potrebbe accadere mai lo fosse.
Ovviamente l’editoriale della voce repubblicana per spirito istituzionale, non usa commentare gli avvisi di garanzia e tantomeno gli atti della magistratura nelle sue funzioni. Già circolano troppi commenti a ruota libera, incluse comparazioni completamente inappropriate. L’avviso a Berlusconi nel 1994, avvenuto a mezzo stampa, concerneva la sua attività privata di imprenditore e non la sua attività di governo. Soprattutto l’inchiesta era limitata alla sua persona, non ad altre dell’esecutivo. Qui c’è un presidente del Consiglio, un sottosegretario alla presidenza del Consiglio, un ministro della Giustizia ed un ministro degli Interni sotto inchiesta per questioni che concernono i loro uffici pubblici. Non va aggiunto altro.
Il presidente del consiglio ha detto di non avere le idee chiare su cosa si debba fare nel caso un ministro si ritrovasse indagato. Il timore è che tale situazione possa interferire con la sua attività di governo. Infatti appena si è trovata indagata lei si è messa a rispolverare le carriere del magistrato inquirente, un soggetto politicamente schierato. Esatto. Il magistrato in questione è un ex compagno di partito dell’onorevole Meloni, trent’anni nel movimento sociale, poi Alleanza nazionale. Al limite lo si può accusare di essere un voltagabbana, gli amici del professor Romano Prodi appartengono ad una ristretta cerchia cattolica proveniente dalla Dc morotea. Già Prodi non ha tanti amici nel Pd, figurarsi se ne ha che provengono dal Msi. Bisogna quindi che il presidente del Consiglio di rilegga il curriculum del magistrato, si studi meglio quello di Prodi e disgraziatamente dovrà necessariamente sottrarre ore preziose alla guida della nazione.
Non che le cose vadano molto meglio nella maggioranza. Un senatore di Forza Italia, esperto di questioni internazionali, ha sbottato in una trasmissione televisiva. Attenti a non ripetere l’errore commesso con Gheddafi, ha detto il tapino. A parte che vi sarebbe da discutere il riferimento, Gheddafi è stato abbattuto da un’operazione della Nato appoggiata da un governo Berlusconi. Se Berlusconi fosse stato contrario ad abbattere Gheddafi, senza uscire dalla Nato, mica era De Gaulle, poteva non concedere le basi, come amava fare Andreotti, quando si trattava del medio oriente
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L’onorevole Meloni potrebbe sempre dire che vuole rimangiarsi il riconoscimento della Corte Penale internazionale sottoscritto dai governi precedenti. Lo faccia, se ne assuma la responsabilità politica. Sarebbe un atto di chiarezza rispetto a tante lamentele piagnucolose. Altrimenti può sempre rassegnare le dimissioni lei e tutti i suoi colleghi indagati. Questo in effetti le consentirebbe di occuparsi a fondo delle accuse che la riguardano e di evitare di gettare altro discredito su un paese già trascinato sufficientemente alla deriva da tanta inutile prosopopea..
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