Hegel ha cominciato a lavorare alla Costituzione della Germania sul finire del Settecento. Gli era chiaro che il Sacro Romano Impero era prossimo a crollare. Il saggio cominciava con una frase lapidaria: «La Germania non è più uno stato» e spiegava che intanto, per essere considerata tale aveva bisogno di una difesa comune. Ma c’era già qualcosa e di sostanziale. Qualcosa di più che il monopolio dell’uso della forza in un certo ambito territoriale. Sin dagli anni della formazione Hegel ha subito il fascino dell’ideale greco antico, “l’ideale greco”, spiega Terry Pinkard, “di una maniera di vivere capace di unificare in sé la vita religiosa, sociale e politica. Una maniera di vivere (o ‘spirito’ come aveva cominciato a chiamarlo a Francoforte) doveva essere qualcosa capace di fornire a chi la condivideva un orientamento, uno scopo del vivere. Lo Stato in definitiva non deve imporsi ma deve affermarsi. E uno stato si afferma “quando i suoi concittadini com-partecipano di un progetto comune con il quale possano liberamente identificarsi, esso può pretendere da loro una lealtà piena e non coatta”. La Germania non è più stato, dice Hegel, perché non ha più questo, non ha più una “prospettiva condivisa”. Il Sacro Romano Impero è destinato a cadere perché non ha anima, non ha vita. È pura estrinsecità. È come un corpo normativo che non sia sentito dal popolo la cui vita deve disciplinare. Può essere sottoscritto e valido, ma cade. Come i trattati internazionali. Se non hanno carne e sangue non hanno validità alcuna. Uno Stato, o una federazione di stati, non si fa né con l’imposizione né con le carte, direbbe oggi Hegel su questa Europa. Si fa con il patriottismo. In questo ci aveva visto lungo Mazzini. La Patria è un culto e il vincolo è fratellanza. Ecco perché la Rivoluzione francese ha funzionato. Perché era ‘sentita’. «La Francia rivoluzionaria forniva ai suoi cittadini delle motivazioni capaci di suscitare la loro piena e leale risposta, dava loro un senso capace di riscattare le loro vite. L’Impero, invece, offriva ai suoi uomini una paga modesta per i loro servigi e la minaccia di severe punizioni nel caso venissero meno ai loro doveri».
Hegel è il teorico della Totalità e questo concetto ‘universale’ lo mette a fuoco già nel Sistema dell’eticità. La libertà della particolarità è la libertà di chi fa comunque parte di un intero. Nel dibattito pubblico Hegel voleva inserire anche la razionalità e l’omogeneità giuridica, in una realtà in cui prevaleva il particolarismo degli Stati e gli interessi privati e locali. Hegel cercava di rispondere al suo tempo, di interpretarlo, di innovarlo. Gli anni della Rivoluzione sono anche gli anni in cui si assiste all’ascesa di una nuova classe sociale ‘universale’, con una mentalità non più rivolta all’orticello ma alla complessità del vivere insieme e del porsi in relazione. Contro la tradizione parcellizzata e campanilistica questa nuova mentalità vuole costruire ponti tra le esperienze e le tradizioni, e liberare dai limiti e da orizzonti ristretti. Di questa nuova classe sociale ci sono non i nobili, legati alla terra e all’interesse del casato, non le professioni artigiane, che parteggiano per questo o quella direzione economica, ma le classi dirigenti, cioè i Ministri, i funzionari, e gli stessi filosofi.
Ragione universale versus interessi particolaristici, questa era la questione per gli anni giovanili di Hegel, prima della maturità dei Lineamenti di filosofia del diritto. E questa questione doveva superarsi nel pensiero. «Non vedeva però il modo di realizzare questo passaggio se non mediante l’intervento di un ‘Teseo’ che avrebbe in qualche modo assicurato che tutto ciò si attuasse. Per rispondere all’ovvio rischio che un tale ‘Teseo’ si trasformasse in tiranno, Hegel nelle sue lezioni proponeva la rivoluzione francese come esempio di una ‘tirannia’ che si stava trasformando in un ‘dominio della legge’. Per quanto riguarda i ‘tiranni’ spesso appaiono nelle prime fasi delle rivoluzioni, tuttavia, una volta che gli scopi […] siano stati saldamente ancorati a una prassi istituzionalizzata, il bisogno di una tale tirannia viene meno, e così pure la presa che il ‘grande uomo’ esercita sul suo popolo». Hegel guarda a Napoleone come lo Spirito del mondo a cavallo e nel 1806 era tutto allineato alla valutazione del consiglio di stato francese nel 1860, secondo cui “abbiamo ormai concluso il romanzo della rivoluzione: ora dobbiamo cominciare a scrivere la sua storia”.