Mai nessuno meglio di Tolstoj è riuscito a dare un’idea di come la Russia veda il mondo. Basta solo leggere le parole di Anna Pavlovna in Guerra e Pace, che non temete aprono le prime pagine dell’opera. La Francia è il centro del satanismo democratico di ispirazione coloniale, oltretutto priva di qualsiasi sentimento religioso. La Prussia un’ectoplasma. L’Austria una debole sprovveduta. L’Inghilterra una volgare isola di bottegai e commercianti. Le altre nazioni sono insulse o in rovina. La Madre Russia, ha il dovere di infondere un significato morale in un universo tanto desolante. Come riuscirvi? Con la frusta dello Zar, fame, morte e preghiera. Anna Pavlovna, non è un generale o una personalità di Stato, è una dama di corte della zarina, eppure Toltstoj ne fa l’anima russa per eccellenza. Tutti i personaggi del romanzo le annaspano dietro, escluso Kutuzov ovviamente, lo strumento divino capace di abbattere il demone bonapartista. Persino il buon Pierre Bezukov è in bilico di finire con i miscredenti, i giacobini, gli occidentali. Al che si può dire, sarà anche così, ma insomma, Tolstoj parla pur sempre del 1813. Sono passati più di due secoli d’allora. Vero, non fosse che la Russia non ha compiuto un solo passo avanti, anzi. Medvedev, Dugin, Lavrov o il ceceno Kadirov vogliono che l’intera società moderna sia annientata, anche se Kadirov veste Vuitton. La stessa rivoluzione d’ottobre, attraverso Lenin, ripudia il passaggio capitalistico, negando il tedesco Marx. Per la Russia sovietica l’industrializzazione sarà forzata, dall’alto. Nessun elemento spontaneo liberale. L’unica esitazione con la Nep, che si concluse rapidamente. Meglio la caccia al neppista, dopo la caccia all’aristocratico, la caccia al borghese, la caccia al kulaki, la caccia al cacciatore di tutte queste categorie perché diventato troppo evoluto nel cacciarle. L’oligarchia attuale è l’esatta riproduzione del modello sovietico che a sua volta aveva ricalcato lo zarismo senza discontinuità alcuna. Al posto di un’aristocrazia forgiata pur sempre da un senso cristiano dell’onore, ecco emergere un ceto spregiudicato appena alfabetizzato. I sovietici e come loro la cricca putiniana, si sono allontanati dagli eroi di Tolstoj. Quelli erano pur sempre convinti di una qualche verità interiore. Questi assomigliano ai terroristi di Dostoevskij. Più Kirillov e Stavrogin che Raskolnikov. Prendete un esempio eccezionale, agli antipodi, Solzenicyn. Il più erudito eticamente è quello che odia l’occidente più di tutta la marmaglia che gli ruotava intorno. Quando rimise piede Solzenicyn in occidente? Quando presenziò ad una messa in ricordo dei morti vandeani. Ecco lo spirito russo che rìdesta i morti dalle tombe.
In Europa la personalità politica che ha cercato incredibilmente l’amicizia con i russi è stato Bonaparte, ammirato com’era dalle dimensioni territoriali e dalla numerosità della popolazione di quel Paese. Tanta grandezza impone grandezza. Invece di mitragliare 12 mila russi prigionieri, consiglio di Murat, li fa tornare in patria. I russi all’epoca i prigionieri li scuoiavano vivi. Vedono i reduci e festeggiano la vittoria di Austerlitz per sei mesi. Sono ancora convinti di poter battere i francesi, se non a Friedland ad Eylau e perso un’altra battaglia, con Bonaparte che reclama il confine occidentale della Neva, pensano di aver vinto di nuovo. Solo un disperato lascerebbe la Polonia disarmata tanto da dover poi intraprendere una seconda campagna polacca perché lo Zar riorganizza l’esercito e la minaccia. Da notare en passant anche questo precedente della politica della Russia, ti volti e ti frego. Bonaparte legna allora i russi a Smolensk e a Borodino e ancora crede che Alessandro correrà fra le sue braccia. Aveva persino vagheggiato di sposarne la sorella, lui un italiano, cioè uno che nemmeno esisteva. Solo lo Stato benedetto dalla chiesa conta per il russo, non l’espressione geografica.
Zelensky è affatto privo del romanticismo e delle illusioni di Bonaparte. I russi li conosce bene e vuole farli in mille pezzi. Rischia di commettere l’errore napoleonico a rovescio. Il successo di Zelensky nasce dalla fase difensiva svolta brillantemente. Passare all’offensiva è un altro paio di maniche. L’Ucraina, con tutto il rispetto, è un paese che senza assistenza sarebbe già stato annesso, esattamente come avvenne nel 1917. E’ molto dura da ingoiare una soluzione coreana. Gli ucraini dopo tanto eroismo e tali sacrifici, davvero meriterebbero una vittoria piena, completa, senza nessuna pietà sui nemici. In alternativa, lo sconfinato orgoglio russo avrebbe il patema di gestire una situazione propria del miserabile regime militare di Pyongyang, con quel pagliaccio che si trova al comando. Qualcosa e qualcuno, indegno della santa, Invincibile e missionaria Mosca di Tolstoj.