Sesto Empirico è stato quel medico-filosofo della seconda metà del II sec. d.C. con il quale lo scetticismo, nella sua forma originaria, giunse alla sua piena maturazione. Chi ne studia il pensiero nelle sue diverse articolazioni è Maria Lorenza Chiesara, la quale ci fornisce un libro (Sette brevi lezioni sullo scetticismo, Einaudi, Torino 2023, pp. 128) che ci presenta lo scetticismo non come una filosofia, nel senso tecnico del termine, ma come una pratica di vita, tale che, proprio oggi, essa «può davvero aiutarci».
Come indica il titolo, il libro consiste nella successione di sette lezioni, con la prima che ha il compito di presentare e di riassumere il percorso che l’esposizione intende seguire. Veniamo così alla seconda lezione, dove si mostra il modo nel quale si esercita la skepsis (che, in greco, significa “indagine”, “ricerca”), da cui l’indirizzo filosofico in questione prende, appunto, il nome che lo qualifica. Ebbene, Sesto muove dal raccogliere due serie di dieci schemi di ragionamento, detti “tropi”: attraverso la prima serie mette a punto il fatto che ci sono casi in cui le cose, pur contrapponendosi le une alle altre, si presentano, in modo egualmente persuasivo, tanto ai sensi quanto alla ragione; attraverso la seconda mostra la difficoltà di stabilire se e quali fra i diversi modi di apparire delle cose corrisponda alla loro realtà. Per fare un esempio, relativo alla prima serie, si può facilmente notare come una stessa medicina sia curativa per un uomo e tossica per un animale. Cosa ci legittima a concludere che essa, considerata in se stessa, possa dirsi buona o dannosa? Stesso discorso vale a proposito del miele, il quale appare dolce alla maggioranza delle persone, ma amaro a chi soffre di itterizia. Ora, che cosa esso è in sé, l’uno o l’altro? Interessante è l’osservazione critica che viene fatta proprio a questo punto. Dobbiamo forse pensare che Sesto sia un relativista? No, perché egli non sta dicendo che ogni cosa è come appare ad ognuno, ma solo che noi non sapremo mai se il miele è dolce o amaro, entrambe le cose o nessuna.
Veniamo alla terza lezione. Non dimentichiamoci che Sesto è un medico, per cui egli concepisce il modo di vivere e di pensare da lui descritto come una forma di “cura”. È così che, per liberarci dall’ansia e dal disorientamento causato in noi dal fatto che le cose ci appaiono in modi opposti, ma egualmente persuasivi, non c’è che da fare una sola cosa: sospendere il giudizio su come esse sono in sé, in vista di guadagnare lo stato di “imperturbabilità”: stato la cui conquista, però, non è garantita, nel senso che esso può essere raggiunto oppure no. «La sospensione del giudizio sembra essere dunque una condizione necessaria, ma non sufficiente, per guarire dalla “malattia” di definire le cose in sé».
Veniamo alla quarta lezione. Dopo aver esercitato la skepsis, sospeso il giudizio e raggiunto lo stato di “imperturbabilità”, non rischiamo forse di recare danno agli altri, proprio perché non disponiamo della facoltà di discernimento? No, perché, per Sesto, affidandoci alle cose come ci appaiono e dunque alle indicazioni della vita ordinaria, possiamo vivere e agire in modo soddisfacente per noi stessi e per gli altri. Riprendendo l’esempio del miele, noi tenderemmo a preferirlo ad altre cose, anche se non sapremo mai quale è la sua natura in sé. Il fatto che è dolce è un’evidenza fenomenica ordinaria che ci può essere da guida nella vita, nonostante esso possa causare effetti diversi su soggetti che si trovano in altri stati.
Veniamo alla quinta lezione. L’autrice si sofferma sull’appellativo di “empirico” che Sesto si era guadagnato come medico. Ebbene, nell’epoca in cui quest’ultimo operava, rispetto ai medici razionalisti che spiegavano le malattie richiamandosi a cause non osservabili, per medico “empirico” si intendeva colui che partiva dall’osservazione diretta e particolareggiata dei sintomi. Affidandosi a ragionamenti probabilistici, si puntava non tanto a trovare la causa di un male, quanto a individuare quale potesse essere la cura per esso.
Veniamo alla sesta lezione. Il problema che si pone a questo punto è come, attraverso ragionamenti probabilistici, mettere capo a un sapere non solo utile, ma anche fondato, problema che riguarda la distinzione fra quelle che oggi chiamiamo scienze e pseudoscienze. Tale problema viene dibattuto da Sesto attraverso un confronto con l’astrologia, le cui pretese non hanno, per lui, alcun fondamento empirico e tantomeno utilità pratica. Le previsioni astrologiche, essendo empiricamente e metodologicamente infondate, ci impediscono di vivere in modo ragionevole attenendoci alle cose così come ci appaiono. In tal senso, esse sono non solo inutili, ma anche dannose, in quanto non possono fungere da guida per la nostra vita.
Venendo alla settima lezione, siamo alla ricaduta sul piano sociale delle riflessioni fin qui condotte da Sesto. La domanda che egli si pone è: come conciliare fra loro i diversi modi in cui le cose appaiono ad ognuno? Attraverso il confronto democratico. Sesto tratta questo problema non direttamente, ma criticando i retori, nella misura in cui essi, attraverso i loro vuoti tecnicismi, cercano di manipolare il dibattito pubblico.
Il libro si conclude con un epilogo, dove Sesto, difeso in precedenza dall’accusa di essere un relativista, viene difeso dall’accusa di essere un nichilista. Uno scettico alla sua maniera è, infatti, un uomo che, per quanto ammetta di non riuscire a definire la realtà in sé delle cose, continua imperterrito a indagare. In tal senso, possiamo forse concludere che tutti noi siamo, in una certa misura, suoi seguaci, «senza saperlo».
Foto Il pensatore di Rodin | Japanexperterna.se | CC BY-SA 2.0