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310 anni dopo, Rousseau ricordato da una piattaforma

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
28 Giugno 2022
in Cultura
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Molti importanti storici della Rivoluzione ignorano il “Rapporto sul governo rivoluzionario” presentato da Robespierre alla Convenzione, nevoso 1793.  Eppure, lì vi si dice, a nome del Comitato di Salute pubblica, che “la teoria del governo rivoluzionario è nuova come la Rivoluzione che le ha dato vita” e anche che tale teoria “non bisogna ricercarla nei libri degli scrittori politici, i quali non hanno affatto previsto questa rivoluzione”. Robespierre non aveva mai aperto bocca senza citare Rousseau. Proprio quando vuole portare a processo Custine, Debrullis, Biron, Barthelemy e tutti i generali e gli ufficiali imputati di complicità con Dumoriez, nonché banchieri e altri agenti della monarchia per tagliar loro la testa, non si avvale dell’autorità di Jean Jacques. Al contrario, Robespierre rivendica interamente su di sé e sul Comitato una tale titanica decisione. Ciononostante, Burke, Taine,  Quinet, Cochin, sono tutti convinti, che Robespierre sia l’ombra di Rousseau. Un ruffiano da salotto quale Benjamin Constant, attento a non irritare qualche rivoluzionario tornato al potere nella Francia della Restaurazione, cianciava che la colpa era tutta di Rousseau.

Povero Rousseau. Si commuove davanti ad un tramonto, versa lagrime per l’ala spezzata di un passerotto, se c’è qualcuno estraneo a qualsiasi violenza, quello è lui.  Bonaparte primo console? Giunto ad Ermenonville entra nella stanza di Rousseau in stivaloni e sbotta. “il vostro Jean Jacques era un matto. Causa sua se siamo arrivati a questo punto”. Bonaparte per lo meno voleva scagionare la memoria dei terroristi a cui doveva la sua carriera.

A trecento dieci anni dalla nascita di Rousseau, 28 giugno 1712, bisogna pur dirlo chiaramente, Jean Jacques non è il filosofo della Rivoluzione francese, semmai è la Rivoluzione francese che lo elegge a suo filosofo.  Lo stesso che fece Tolstoj indossando il ritratto di Rousseau al collo come una reliquia. Ancora a 27 anni compiuti non se lo toglieva nemmeno quando faceva il bagno. Quel rivoluzionario terrorista del conte Tolstoj!

Nel secolo scorso tipi come Jacob Talman erano convinti che la società totalitaria, nasce dagli oscuri libri di Rousseau che compenetrano il pensiero dei francesi. Forse la “Nouvelle Heloise. E sì, perché il libro più letto nella Francia pre rivoluzionaria, persino a Versailles dalle dame di compagnia della regina, è proprio la “Nouvelle Heloise” e subito dopo “Emile”, due best seller che hanno stampato e ristampato migliaia di copie. Il famigerato “Contratto sociale” lo conoscevano pochissimi, al limite l’élite giacobina. E pure rousseauiani entusiasti del club, come Robespierre, Brissot, madame Rolande, per non parlare di Barnave, saranno fra loro avversari mortali.

Ora è completamente inutile mettersi a revisionare le complesse tematiche del “Contratto”, le presunte contraddizioni con le “Considerazioni sul governo della Polonia”, o le sottili dissertazioni accademiche a cui si attaccano girondini e montagnardi durante la Legislativa, citando il brano di un testo e la nota dell’altro. Basta ricordare semplicemente che dal punto di vista di Rousseau uno Stato delle dimensioni della Francia deve essere governato da una monarchia. La visione democratica di Rousseau riguarda le realtà comunali, come Ginevra  o città i cui abitanti possano interamente riunirsi nel cortile di un casolare.  Rousseau la rivoluzione in Francia, non l’avrebbe mai fatta e nemmeno consigliata. Era un carattere melanconico il suo, portato al rimpianto della grandezza antica, la Repubblica di Sparta, quella di Atene, i fasti di Roma.

L’abate di Sieyès coglie a fondo il pensiero di Rousseau, e lo giudica elevatissimo, quanto politicamente “superficiale”. Rousseau scrive per diletto e per essere remunerato, non per impegno. Se proprio dovete, prendetevela con Sieyès ed il suo “Terzo Stato”, lasciate in pace Rousseau. Jean Jacques ebbe effettivamente una colpa. Fu il primo in tutto il vecchio continente a rendere popolare una parola che era appena sussurrata, “libertà”.

“Il primo di tutti i beni, non è l’autorità, ma la libertà”, Emilio, libro secondo. E questo sì che per l’epoca era un concetto unico e davvero rivoluzionario. Eppure, oggi a celebrare la grandezza di Rousseau resta giusto una piattaforma.

Tags: RivoluzioneRousseau
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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