In occasione dell’ultimo congresso del partito democratico, abbiamo ascoltato l’illustre figlio di un vecchio mazziniano del secolo scorso, che ancora ricorda le riunioni a casa del padre con Pacciardi e Ugo La Malfa, dire, beato lui, che servirebbe “recuperare la scintilla della rivoluzione di ottobre”. Senza voler mettere in questione il patrimonio e l’eredità della rivoluzione di ottobre, manco in Russia vorrebbero recuperarne qualcosa, Putin basta e avanza, resterebbe il problema di come la riaccendi una simile fatata scintilla. Pensare che se c’era una cosa apprezzabile nei marxisti era il presunto realismo storico, per cui ogni epoca ha un suo inizio e una sua fine. Sulla base di un tale presupposto, si può dire quindi che l’epoca della dittatura del proletariato, mai è iniziata e mai inizierà, perché appunto la scintilla dell’ottobre russo ha solo prodotto una dittatura criminale di cui ancora si avverte il respiro, soprattutto lo avvertono i paesi che l’hanno subito. I repubblicani storici che sono rimasti invece fedeli alle idee del padre di questo illustre esponente del Pd, ricordano ogni anno diligentemente la loro Rivoluzione romana. Di buono c’è che nessun partito democratico ricorda quella di ottobre, mentre i repubblicani non devono riaccendere un bel niente, si accontentano delle ceneri. Custodire quelle ceneri è molto gravoso ai giorni nostri. Si disperdessero anche solo quelle di Mameli caduto al Gianicolo ed ecco che il partito di maggioranza relativa al governo non saprebbe nemmeno come si chiama.
Sono decenni che il partito repubblicano italiano il 9 febbraio cerca di trattenere il tenue ricordo di un’alba lontana. Nel secondo dopoguerra i suoi dirigenti più importanti, Ugo La Malfa, Giovanni Spadolini si preoccupavano comunque di spiegare come loro si sentissero oramai estranei alle istanze rivoluzionarie di quella data. Ci invitavano a cogliere in pieno lo sviluppo compiuto dalla democrazia contemporanea, il processo repubblicano in corso, quando il mondo di Mazzini era in fondo quello del Congresso di Vienna, appena appena scalfito dal 1848. C’è una bella differenza fra la scintilla della rivoluzione d’ottobre e quella della rivoluzione romana, quest’ultima sulla falsariga della francese ha propagandato “la democrazia pura”, o come si diceva “il despotismo della liberta”, la rivoluzione d’ottobre si è tenuta il solo despotismo. A scanso di equivoci il decreto istitutivo del 9 febbraio, chiarisce il pensiero mazziniano. “Ecco il principio sul quale deve poggiare tutto l’edificio politico, il POPOLO”, scritto in maiuscolo. Nessuna distinzione di classe, nessuna fazione, nemmeno nessuna maggioranza numerica. È il ritorno della rousseauiana “volontà generale”. Mazzini anche allora era già un fantasma.
La “democrazia pura” mazziniana fece scappare il papa da Roma come fece scappare Luigi Capeto da Parigi nemmeno sessanta anni prima. Resterebbe da chiedersi, se mai i repubblicani romani fossero stati solerti come quelli parigini, il papa sarebbe stato braccato e chissà magari cambiava la storia. Mazzini arrivò in una Roma senza papa: Figuratevi mai se l’Italia di oggi, questa dove esci di casa e ti ritrovi davanti l’extraterritorialità di un edificio dello Stato del Vaticano all’angolo della strada, potrebbe mai affacciarsi sulla breve stagione della Roma di Mazzini. Si scorgerebbe come un abisso, perché il libero Stato non tollera una libera Chiesa, la Chiesa può avere solo un ruolo spirituale, o altrimenti costituzionale. Altro che scintilla da riaccendere, allora, meglio che sia spenta. La sola idea dà la vertigine. Sarebbe quasi come l’affacciarsi su tale abisso, ma non un giorno all’anno, ma ogni giorno e per ogni anno.
Foto CCO