Caduto il fascismo Benedetto Croce si preoccupò di proclamarlo un episodio accidentale della storia italiana. Croce, da difensore del sistema giolittiano sosteneva che dal 1860 al 1922, l’Italia fosse uno dei Paesi più democratici d’Europa, dove grazie a Giolitti, si intraprese una accelerata ascesa delle plebi alla cittadinanza, Queste si riunivano in associazioni e in Camere del lavoro, avevano ottenuto l’arma degli scioperi, ebbero leggi protettive e con i consecutivi allargamenti dell’elettorato giunsero fino al suffragio universale. A leggere l’interpretazione di Croce, uno pensa che Giolitti fece per la causa democratica quello che nemmeno riuscirono a fare Danton, Murat e Robespierre tutti insieme.
Eppure, qualcosa non deve aver funzionato perché Mussolini che succede al giolittismo non assomiglia in nulla a Bonaparte erede dei giacobini. Interessante notare che una sponda all’improbabile versione di Croce la offerse Togliatti. Il capo comunista sorvola sull’analisi del fascismo, che sarebbe stato alleato del comunismo prima di combatterlo. Mussolini ritenne folle la scelta di Hitler di attaccare l’Unione sovietica. Togliatti si concentra in un elogio del giolittismo, come di un’epoca tranquilla, pacifica, aperta al socialismo. Croce e Togliatti fanno di Giolitti un campione democratico per cui non si capisce come fosse possibile che da questa meraviglia progressista si piombò quasi improvvisamente nel fascismo, perché anche se si fosse trattato solo di una sbandata, bisognerebbe pur spiegare come ha fatto a venire fuori da un’età giolittiana tanto armoniosa e felice.
Ferrucci Parri aveva un’idea completamente diversa, diversa da quella di Croce e Togliatti. Parri non riteneva affatto il governo giolittiano una grande esperienza democratica, ma semmai un raffinato controllo delle masse da parte del liberalismo monarchico e quelli che ai due sembravano progressi democratici, semplice fumo negli occhi. Il 26 settembre del 1945, nel discorso inaugurale della Consulta nazionale, Parri rovesciò la loro visione dicendo che “in Italia la democrazia era appena agli inizi”. Il fascismo non nacque da una crisi della democrazia, ma da una crisi della monarchia parallela a quella avvenuta in Austria, in Russia ed in Prussia all’indomani della Prima guerra mondiale. La Prima guerra mondiale aveva concluso l’epoca del congresso di Vienna, dove l’Inghilterra si era schierata con la Francia e la Russia, pur scegliendo il campo giusto, si era ritrovata con la rivoluzione dalla parte tedesca. L’Italia che aveva cambiato posizione era rimasta insoddisfatta. Per cui Parri, la pensava sul fascismo come Gobetti una malattia profonda propria di “un popolo di sbandati”, che aveva avvilito ed isolato le minoranze eroiche del risorgimento o le aveva corrotte, ecco il senso profondo del giolittismo monarchico.
Questo dibattito del secolo scorso torna alla memoria vedendo oggi i reduci del regime di Salò sbarcati a Predappio cantare “Faccetta nera” per ricordare la marcia su Roma. Verrebbe da dir loro che per lo meno hanno sbagliato canzone. Non fosse che “Giovinezza” la cantano, ovviamente senza saperlo, i ragazzi della Sapienza che si scontrano con la polizia per impedire di far palare Daniele Capezzone. È inutile spiegar loro che si tratta dell’ex segretario del partito radicale. Ti rispondono che i fascisti non devono entrare all’università, quando già sembrano essersi iscritti!
Foto La Sapienza di Gongora | CC BY-SA 4.0