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Amor vitae. Stili e forme dell’arte in Georg Simmel

Mauro Cascio di Mauro Cascio
7 Gennaio 2022
in Cultura
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Devo subito premettere che non ho significativi studi estetici alle spalle, così, dovessi scrivere qualche stupidaggine, metto subito le mani avanti. Come attenuante generica, devo anche aggiungere che sono un hegeliano e quindi tendo a vedere l’arte come ‘espressione’ di un contenuto spirituale. Dove spirituale non vuol dire ‘religioso’: Geist è lo Spirito, il costume, la cultura, diciamo meglio, di un popolo. Io ho una identità di forma e contenuto, do una forma a un contenuto. Per forma intendo forma artistica, ma anche la capacità tecnica (dove formalismo vuol dire virtuosismo). Che è poi, mi si farà notare, non solo quello che Hegel chiama ‘rappresentazione’ ma anche il sistema di funzionamento della propaganda stessa. L’arte è propaganda. Ed è esattamente l’arte per come viene avvertita da chi non la studia. Un fenomeno è artistico se ‘espone’ la mia verità. Se dà una forma a quanto io reputo vero. Così, io posso ‘usare’ l’arte. Per diffondere i miei contenuti. E fare capire a te, povera bestia senza arte, che non hai verità. Così l’arte è cara al potere, e gli artisti sono gli utili cortigiani. L’arte è Caravaggio, Michelangelo, Raffaello, che decoravano stanze nel Rinascimento per magnificare Pontefici, Cardinali e Signori, ma anche per ‘presentare’ un contenuto religioso, per esaltare e presentare le Verità del Cristianesimo. Anche la sinistra, in Italia, ha sciolto i suoi artisti e diviso il pubblico in buoni e cattivi. I buoni ascoltano De Gregori. I cattivi Battisti.

Se un prodotto artistico non ha un suo contenuto, allora possiamo dire di non avere davanti arte ma arredamento, design. A quel punto parlo del quadro solo se sta bene in salotto. È la morte dell’arte. Ma allora, fondandola così, io sto dicendo che l’arte non ha una sua autonomia. E qui finisco io e comincia Antonio De Simone che in un suo libro appena uscito (Amor Vitae. Stili e forme dell’arte nell’estetica di Georg Simmel) mi mette subito in riga. Con Simmel appunto. Che già in un saggio del 1914, L’arte per l’arte, mette a fuoco uno dei motivi principali per cui considera strategicamente rivelante la dimensione dell’esperienza artistica come consustanziale alla corrente totale della vita e a tutto il vivente mondo dello spirito. «Se l’arte, scrive Simmel, per il suo esercizio, il suo godimento, la sua comprensione si rafforza in tal modo sulle sue proprie radici e rimane conchiusa nella sua propria essenza, ciò non significa in alcun modo la sua definitiva esclusione dalle altre potenze e province dell’esserci, dalla totalità della vita; ma, all’opposto, questa costituisce soltanto la base, a partire dalla quale l’arte può essere inserita con sicurezza nella vita ed essere riconosciuta nella sua relazione con tutto ciò che le è, per così dire, superiore o inferiore. L’arte come totalità e la singola opera d’arte si pongono in un rapporto tipico, che si può designare come un fenomeno originario del mondo spirituale: il fatto che un membro, un elemento o una parte di un tutto unitario, è esso stesso un tutto unitario in sé conchiuso, o pretende di esserlo». Questo, secondo Simmel, vale per tutte le sfere culturali. La loro peculiarità, spiega De Simone, è quella di essere “un tutto fatto di parti, delle quali a ognuna appartiene una determinata autonomia funzionale, di più: una determinata autonomia della propria esistenza; così che, da una parte, l’unità del tutto è intessuta delle funzioni e degli effetti specifici degli elementi, e la vita degli elementi, dall’altra, è alimentata e determinata dal tutto”. Non può esistere allora un’arte per l’arte (a proposito di quanto avevamo detto di ‘morte dell’arte’). Quello che invece interessa in Simmel è il “ritorno alla vita”. Qui io non ho un’idea che detta qualcosa che devo apprendere o capire, un’Idea esterna all’opera o all’operare, perché dire questo vuol dire escludere un doppio influsso, quello della vita nell’arte e quello dell’arte nella vita.

A differenza di Kant, Goethe viene presentato da Simmel  come un pensatore a cui non soltanto manca la sistematicità à la Hegel, ma a cui manca proprio il presupposto della filosofia in quanto scienza. Spiega De Simone: «Nella concezione filosofico-scientifica la nostra relazione immediata con il mondo, l’intimo richiamarsi e il corrispondersi delle sue forze si riflette in un pensiero che a tutto questo sta, per così dire, solo di fronte. Tale pensiero esprime, nel linguaggio che gli è proprio, uno stato di cose con cui non è direttamente legato». Diversamente, scrive Simmel, Goethe “manifesta sempre immediatamente il proprio sentimento del mondo; per afferrare tale sentimento egli non ha bisogno di ricorrere alla mediazione del pensiero astratto, che gli conferisce un’oggettività e un modo di essere totalmente nuovi, ma la sua percezione incomparabilmente forte del significato dell’esistente e della sua intima connessione secondo le ‘idee’, permette alle sue affermazioni filosofiche di spacciare come fiori dalle radici”. Con una metafora che Simmel stesso dice ardita, la filosofia di Goethe “assomiglia ai suoni, che destano immediatamente sentimenti di piacere e di dolore”, mentre la filosofia scientifica (Kant) “è più vicina alle parole che designano quei sentimenti in modo linguisticamente comprensibile”. Quindi lo stile di Goethe è fondamentalmente ‘artistico’. Per lui la stessa natura, per come ci si presenta agli occhi, è immediatamente frutto e testimonianza della facoltà dello spirito, idee che danno forma.

L’efficacia di De Simone si svolge lungo diciannove lezioni in cui intrattiene tra l’altro sulla filosofia del paesaggio, sull’estetica delle città d’arte (Roma, Firenze, Venezia) e sul ritratto. «Rembrandt costituisce il vero spartiacque nella morfogenesi del moderno, perché nella sua opera la spiritualità dell’anima individuale “giunge a un completo dominio, come funzione unificante della figura”. Rembrandt supera l’arte precedente con la sua ricchezza infinita di elementi e sfumature. Infatti, “finché manca l’anima come sola forza unificante, finché uno schema geometrizzante la rappresenta, gli elementi debbono venir ridotti, semplificati, per trovarvi posto. L’anima è un principio di configurazione di portata più ampia, capace di afferrare con profondità tanto maggiore, tanto più intensa e vibrante, da poter esercitare il proprio dominio su elementi che si muovono in completa libertà, infinitamente differenziati, incalcolabili”. Rembrandt, nei ritratti dell’Io simmeliani, rappresenta l’occhio soggettivo, il divenire temporale di una totalità di senso individuale.

Mauro Cascio

Mauro Cascio

Mauro Cascio si è laureato in Filosofia a La Sapienza di Roma. Ha organizzato numerosi eventi culturali in Italia e all'estero, dalla Biblioteca del Senato al Pembroke College dell'Università di Oxford, attività grazie a cui ha vinto il Premio Nazionale di Filosofia nel 2013. È curatore di numerosi saggi, nonché prolifico autore. Al suo penultimo libro, «Davanti alla fine del mondo» si è ispirato il cantautore Roberto Kunstler per il suo omonimo lavoro. È coordinatore di direzione de La Voce Repubblicana e cura ogni anno l'Almanacco Repubblicano

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