Del saggista e romanziere di successo svedese Björn Larsson esce in edizione italiana un libro (Essere o non essere umani. Ripensare l’uomo tra scienza e altri saperi, tr. it. di F. Peri, Cortina, Milano 2024, pp. 448), in cui egli si pone la più classica fra le domande antropologiche: «che cosa è un umano? Che cosa lo rende propriamente tale? Che cosa significa essere degli esseri umani?». Ebbene, partendo dal fatto che l’attributo dell’umanità «non è una proprietà innata», noi siamo diventati quel che siamo non a causa di mutazioni casuali o di determinismi genetici, ma «grazie a una scoperta sfociata in un’innovazione e in un’invenzione», ossia grazie alla nostra capacità di elaborare «categorie sotto forma di rappresentazioni mentali fondate sulla rassomiglianza». In poche parole, quella prestazione che fa di ognuno di noi un «essere umano umano» – Larsson fa uso di questa formula, sul modello di homo sapiens sapiens, volendo, probabilmente, rimarcare la nostra unicità nell’universo della vita animale – sarebbe data dalla rappresentazione simbolica nel suo carattere di arbitrarietà, solo in parte coincidente con la sfera del linguaggio: dall’idea cioè che qualunque cosa – un suono, un gesto, un oggetto – può darsi in sostituzione di qualcos’altro. Di qui nascono la capacità di categorizzazione e il pensiero astratto, l’immaginazione e l’idea di futuro, la matematica, il pensiero religioso, la morale.
E proprio perché tutto ciò ha rappresentato un’«innovazione» e un’«invenzione», da scartare è che essa sia dipesa da fattori specificamente genetici, in quanto ciò diminuirebbe l’importanza che ha avuto la creatività nello sviluppo evolutivo dell’essere umano e del suo comportamento. Ne discende che l’uomo, a differenza degli altri animali, ha seguito una via di “speciazione” più che di vera e propria evoluzione: non si è adattato interamente all’ambiente nel quale vive, ma ha adattato quest’ultimo a se stesso, più o meno con successo, a seconda dei casi.
È così che Larsson coglie una curiosa contraddizione in cui le scienze naturalistiche si involgerebbero. Da un lato, esse sottostanno a un regime deterministico, tale che, per principio, esclude l’autodeterminazione, il libero arbitrio e la scelta; dall’altro, gli studiosi del settore non fanno che operare scelte: «non solo decidono che cosa è utile o importante studiare, ma anche come applicare le conoscenze acquisite, intervenendo in maniera flagrante sui meccanismi “naturali” del processo evolutivo (posto che nel caso dell’essere umano ne esistano di naturali)».
Larsson sostiene che, poiché umani non si nasce, ma lo si diventa, «l’umanità dell’essere umano dipende quasi in toto da facoltà acquisite, o potenzialmente acquisibili»: facoltà che noi possiamo perdere, non sviluppare o che qualcuno, agendo su di noi, può anche cancellare. Ne discende che essere umani è un qualcosa di più che sopravvivere in quanto organismi biologici, che «l’umanità non è garantita dalla genetica», così che le teorie dell’umanità fondate su quest’ultima non hanno nessuna corrispondenza con la realtà. Inoltre, nessuno, qualificato sotto un profilo esclusivamente biologico, può accedere alla piena umanità o sopravvivere da solo, ma ci riesce unicamente se intrattiene un rapporto di interazione con altri esseri umani. Il fatto è però che non basta essere un membro della nostra specie, per diventare, rimanere umani o essere trattati, a pieno titolo, in quanto tali. Come per altri mammiferi, decisivo, per l’uomo, è appartenere a un sottoinsieme di essa (una tribù, un clan, una gang ecc.), come dimostrano, ad esempio, le continue guerre e conflitti fra uomini di etnie o religioni differenti.
In più, la storia stessa insegna che i diritti umani non riguardano mai l’intera umanità, perché sono improntati a valori essenzialmente occidentali, tali che rispecchiano il profilo delle nostre «democrazie capitaliste di orientamento individualista e liberale». L’umanità rimane sempre scissa così, nonostante tutto, fra la sfera del “noi” e la sfera dei “loro”, in modo che manifestazioni di solidarietà di portata internazionale si danno solo di fronte alle grandi catastrofi naturali.
Tornando alla «simbolizzazione arbitraria», Larsson enuclea due conseguenze che da essa ne discendono. La prima sta nel fatto che «la condizione dell’essere umano umano non è un dato, ma una potenzialità», per cui, a seconda dei casi, «si può essere più o meno umani»: «più o meno coscienti, più o meno liberi, più o meno orientati al futuro, più o meno aperti all’intersoggettività, più o meno creativi». La seconda stabilisce invece che, in quanto esseri umani, noi disponiamo, sempre e comunque, di un ampio margine di libertà, per cui possiamo scegliere «in che modo e con chi vivere le nostre vite, come individui e come collettività». Dal fatto che spetta interamente a noi diventare quel che siamo, ne viene ricavato poi il principio secondo cui la nostra vita ottiene un valore, nella misura in cui «noi esseri umani attribuiamo valore all’umanità», principio che corre il rischio, però, di lasciare non problematizzato il passaggio dal momento del semplice riconoscimento di un valore all’umanità a quello dell’attribuzione di questo stesso valore a essa.
In sostanza, per Larsson, la libertà e il libero arbitrio non sono semplici illusioni, sentimenti e desideri soggettivi o meri epifenomeni, come hanno sostenuto molti filosofi e scienziati, ma «caratteristiche e possibilità reali della vita umana»: il margine di autonomia che a noi è concesso nel pensiero e nella condotta trascende qualsiasi vincolo o determinismo di ordine naturale e sociale. Il punto è però che il nostro margine di iniziativa individuale dipende in modo intrasferibile dall’autonomia degli altri, così che invocare i concetti di libertà o di libero arbitrio ha senso solo se ciò si dà nel contesto di un orizzonte di coesistenza interpersonale. In ultima istanza, nonostante la serie vastissima di scienze e di altri saperi specialistici che vertono sull’uomo, è proprio qui che consiste la sua umanità. È questo ciò che significa essere «umani umani».
Naturhistorisches Museum, Wien. Rekonstruktion eines altsteinzeitlichen Jägers ( homo sapiens ) mit Speerschleuder und Speer ( Cro-Magnom 1, Les Eyzies de Tayac, France ) | Wolfgang Sauber | CC BY-SA 4.0