«La civiltà sta producendo macchine che si comportano come uomini e uomini che si comportano come macchine». Così si esprimeva Erich Fromm (1900-1980) a proposito dei rischi legati all’affermazione di tecnologie che avrebbero potuto compromettere l’equilibrio tra l’uomo, i suoi simili e l’ambiente che ci accoglie. E le nuove macchine sicuramente tendono a comportarsi come uomini. Lo fanno perché sono in grado di farlo e sono state costruite per funzionare in questo modo. Gli algoritmi che stanno alla base dei modelli di intelligenza artificiale permettono la simulazione dell’intelligenza umana attraverso le macchine.
La storia dell’uomo è caratterizzata dal tentativo di creare macchine in grado di emulare l’uomo. Tra le invenzioni di Erone di Alessandria si ricordano marchingegni meccanici. Sembra che nel secolo XIII il matematico arabo Al-Jazari avesse progettato un meccanismo antropomorfo di eccezionale successo presso il pubblico. Si dice che Leonardo da Vinci avesse realizzato un cavaliere meccanico, un automa progettato per la corte sforzesca di Milano. Del resto, il Codice Atlantico conserva alcuni disegni del genio toscano, ma non si è in grado di dire se quella mirabile macchina fosse stata costruita. Molte invenzioni reclamizzate come sorprendenti erano in realtà frutto di inganni clamorosi, come quello di Wolfgang von Kempelen, che spacciava per macchina intelligente (in grado di giocare a scacchi) un pupazzo all’interno del quale si nascondeva un abile collaboratore. La ricerca ha prodotto risultati pratici che siamo ancora in grado di apprezzare: Leibniz, inventando la prima calcolatrice capace di eseguire le quattro operazioni matematiche, realizzò una macchina rivoluzionaria, che si presentò come la base dei moderni calcolatori.
Nel 1937 fu dato alle stampe il celebre articolo del britannico Alan Mathison Turing, intitolato On Computable Numbers. Fu poi la volta della pubblicazione del saggio Computing Machinery and Intelligence, in cui il matematico provocatoriamente si chiedeva: «can machines think?». Oggi c’è chi sostiene che gli algoritmi “intelligenti” siano in grado addirittura di sviluppare una forma di “coscienza di sé”. Siamo quindi “avvolti” da sistemi evoluti, che rischiano di condizionare le nostre conoscenze, il nostro pensiero critico, la nostra vita. Intelligenze diverse da quella dell’uomo sono teorizzabili, come afferma Stephen Thaler, inventore di DABUS, un sistema di IA in grado di realizzare invenzioni. E ci si deve chiedere cosa sia nel concreto l’intelligenza delle macchine, partendo dal presupposto secondo il quale queste ultime sono in grado di fornire risposte tutt’altro che scontate. E, per parafrasare Henry David Thoreau, il rischio oggi è che gli uomini diventino gli strumenti dei loro stessi strumenti: un paradosso inquietante.
Del resto, sotto il profilo tecnologico, il mondo del cosiddetto cognitive computing ha consentito di sviluppare – tramite reti neurali artificiali – sistemi di apprendimento automatico, in cui si è passati dal machine learning (che permette di apprendere dai dati in maniera autonoma, senza che siano state fornite istruzioni esplicite) al deep learning (letteralmente «apprendimento profondo»). Il machine learning, quindi, ha prodotto modelli di apprendimento automatico che si ricollegano alla statistica computazionale, branca specifica che si occupa della elaborazione di predizioni grazie all’utilizzo di strumenti informatici. Il futuro dei rapporti tra l’uomo e questi modelli di apprendimento (in grado di generare risposte) dipende dall’uso che faremo della tecnologia. Se riusciremo a governarla, alimentandola nel modo migliore, riusciremo a trarne giovamento. Se la situazione continuerà a essere quella del caos, allora rischieremo che – anche nella ricerca storica – l’IA contribuirà a “manomettere” la storia e, con essa, anche le cronache del nostro tempo.
Siamo di fronte a un ulteriore passaggio della rivoluzione informatica (oramai inarrestabile), in grado di abbracciare tutti gli aspetti della vita umana. Quindi, il legislatore non poteva “rimanere alla finestra”, anche perché si stanno moltiplicando contenziosi, provvedimenti giudiziari, delibere di Autorità garanti ed elaborazioni di codici di condotta dedicati al tema dell’IA. Recentemente è stato varato il regolamento dell’Unione europea 2024/1689 dedicato all’intelligenza artificiale (AI Act). Tuttavia, ci si è già accorti che lo strumento non è sufficiente a far fronte a una tecnologia in costante evoluzione. Il testo normativo si occupa molto di profili legati alla sicurezza, ma non offre risposte concrete a problemi come quelli della tutela del diritto d’autore, della correttezza dell’informazione e del trattamento dei dati personali. In effetti, spesso il legislatore rincorre la tecnologia con strumenti che non sono sempre adeguati e, soprattutto, non sembrano tempestivi. Forse, basterebbe un po’ di buon senso. Del resto, la tecnologia, in quanto tale, non è pericolosa. Sono pericolosi gli usi che ne facciamo nel concreto.
Foto scattata in occasione della presentazione del libro «L’eccidio di Cesena» (edito da Maretti) presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena