La ragione per la quale l’Italia non ha avuto una riforma costituzionale organica, e vissuto al suo posto solo dei rabberciamenti improvvisati, capaci di infierire pesantemente sulla vita istituzionale del paese, è perché una parte politica ha sempre preteso di imporsi all’altra. In questo modo, anche quando si era d’accordo sui principi, si riusciva a dissentire sul metodo. La costituzione repubblicana, come dovrebbe essere ovvio anche al meno competente in materia, si scrive all’interno di un parlamento solidale capace di esprimere un governo di ampia maggioranza. Altrimenti vengono fuori misure come quelle del taglio dei parlamentari, dettate dai costi delle Camere, che si potrebbero abbattere molto più rapidamente, dimezzando gli stipendi ai loro onorevoli membri, senza incidere sul principio di rappresentanza.
Paradossalmente se Berlusconi voleva davvero affrontare una questione così delicata come quella della riforma presidenziale, un tema che metterebbe in discussione tutta la parte seconda della Carta, avrebbe avuto bisogno di spendere le sue energie per fare del governo Draghi il governo della prossima intera legislatura, altro che sbrigarsi nel mandarlo a casa. Possiamo quindi escludere tranquillamente che un governo di centro destra, un governo di parte, che abbia vinto le elezioni, soprattutto con l’attuale legge elettorale, nella misura in cui prevedono i sondaggi, possa riformare alcunché senza poi passare per il voto degli elettori. Per cui fino a quel momento, e non prima certo di un pronunciamento popolare, il capo dello Stato svolgerebbe regolarmente ed ordinariamente le sue mansioni. Per questo motivo l’avventatezza delle parole di Berlusconi ha lasciato interdetti persino i suoi alleati, i quali se vorranno arrivare ad una riforma presidenziale, vorranno per lo meno arrivarvi in una maniera rispettosa delle leggi vigenti. Fa un certo sgradevole effetto vedere come Berlusconi in vecchiaia abbia recuperato la carica eversiva della giovinezza che pure era riuscito a contenere negli anni. Purtroppo per lui, l’adesione al partito popolare europeo non basta e meno che mai basta vantarla.
Nel merito della riforma, il partito repubblicano ha avuto fra i suoi aderenti più illustri Randolfo Pacciardi che fece del presidenzialismo un tema ricorrente. Va detto che in vecchiaia, a contrario di Berlusconi, Randolfo ci era parso più rassegnato alla forma parlamentare. In ogni caso Pacciardi non aveva mai pensato ad un presidente eletto direttamente dal popolo come ad un colpo di pistola sparato nella notte. Egli proponeva un modello statunitense, dove la definizione dei contrappesi assumeva la medesima, se non maggiore, importanza della forma presidenziale.
E’ questo che lascia interdetti nell’ascoltare gli improvvisatori successori di Pacciardi pronti a calcare il tema del presidenzialismo, in genere in campagna elettorale, quando sono a corto di argomenti. A sentire loro più che la preoccupazione dell’equilibrio di potere statunitense da raggiungere, e abbiamo proprio visto di recente come bisogna poi preoccuparsi che questo equilibrio non venga alterato, vediamo la propensione alla scelta sconsiderata.
Il modello presidenziale sostenuto, non è allora quello della temperata e consolidata democrazia statunitense, semmai ricorda quello avventuroso ed instabile delle dittature sudamericane.
CCO