Sembrerebbe che le menti fertili di Giorgetti e Meloni stiano per partorire la “geniale”, soluzione di immettere sul mercato e vendere la quota di partecipazione azionaria direttamente detenuta dal MEF nella società di poste italiane (circa il 29%), mantenendo inalterata la quota detenuta da Cassa depositi e prestiti (35%) per poter rispettare un vincolo di legge. Sulla base di dati “ufficiali”, è possibile valutare la portata economica dell’operazione che viene proposta con l’intento di ridurre il debito totale (2863 MLD al 31.12.2023) ed il costo totale per interesse passivi. Poiché l’introito previsto per la vendita viene ipotizzato pari a 4,4 MLD di Euro, la riduzione del debito risulterebbe pari a circa 167 milioni di euro. Contestualmente però il Tesoro si vedrebbe ridotti i proventi derivanti dall’incasso delle cedole relative ai 4,4 MLD di capitale sociale alienato.
Tale importo, già incassato, per il 2023 è stato indicato da Giorgetti pari a 259 milioni di euro. Se si fosse realizzata l’operazione, come prima indicata il Tesoro avrebbe quindi subito una perdita pari a circa 97 milioni. Se si dovesse realizzare l’operazione nel 2024, anno per il quale la società Poste prospetta un aumento del dividendo distribuibile, e quindi un incremento di introiti di spettanza del Tesoro sino a 320 milioni di euro, la perdita per il Tesoro sarebbe di circa 153 milioni di euro.
Giorgetti e Meloni avrebbero realizzato, come si dice a Roma, il risparmio di “Maria Calzetta”.