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Il penultimo ciclo di negoziati tra Regno Unito e Ue era in tutto, tranne che nel nome, l’ultima opportunità di trovare la quadra sulle relazioni commerciali post Brexit. Boris Johnson aveva ripetutamente escluso di prolungare il periodo di transizione, e ora valuterà lo stato delle trattative alla fine di giugno. Il Primo Ministro potrebbe anche decidere di abbandonare i colloqui anticipatamente qualora l’Ue dovesse arroccarsi su richieste inaccettabili che rendono la stipula di un accordo improbabile. In tal caso, le relazioni commerciali future tra Londra e l’Ue-27 saranno condotte in base alle regole della WTO. Downing Street sa bene che se l’Uk prolungasse la scadenza per i negoziati, potrebbe trovarsi invischiata in un enorme programma di legislazione comunitaria. Un portavoce del governo ha dichiarato al Times: “Mentre l’Ue cerca di affrontare l’impatto del coronavirus sugli Stati membri, Bruxelles introdurrà ogni tipo di nuova legislazione che sarà ovviamente progettata per i 27”, l’Uk non può rimanere vincolato alla legislazione d’emergenza dell’Ue, senza alcun coinvolgimento nella sua progettazione. L’ostacolo maggiore al progresso dei negoziati è la pesca. L’Uk è risoluto a porre fine al sovrasfruttamento delle acque britanniche da parte delle navi europee. Tuttavia, l’approccio di Londra è costruttivo. David Frost si è dichiarato disponibile a stipulare un accordo separato sulla pesca basato su dati scientifici e senza alcun allineamento regolamentare forzato. In base al documento, le quote di pesca andrebbero stabilite in base alla migliore scienza disponibile fornita dal Consiglio internazionale per l’esplorazione dei mari (CIEM). Londra non accetterà più il meccanismo di “stabilità relativa” per la condivisione delle acque di pesca, obsoleto, basato sull’attività di pesca storica degli anni ’70. Ciò significa che le future possibilità di cattura ittica saranno basate sul principio dell’attaccamento zonale, che riflette meglio gli habitat di vita dei pesci e costituisce la base dell’accordo di pesca in vigore tra Ue e Norvegia. Il documento prescrive limiti di cattura concordati su base annuale. “La nostra posizione sulla pesca è ragionevole e equilibrata. Vogliamo un accordo quadro separato che conceda all’Ue l’opportunità di accedere alle acque britanniche e condividere le risorse ittiche basato sul principio della sostenibilità ambientale”, ha detto Frost. In parallelo, Liz Truss ha avviato i colloqui per un accordo di libero scambio con il Giappone. Il Segretario al Commercio Internazionale ha dichiarato: “Il Giappone è uno dei nostri maggiori partner commerciali e un nuovo accordo bilaterale contribuirà ad aumentare il commercio, a stimolare gli investimenti e a creare più posti di lavoro a seguito delle sfide economiche causate dal coronavirus”. L’accordo di libero scambio Regno Unito-Giappone determina, a regime, un aumento del flusso commerciale tra i due paesi di 15,2 miliardi di sterline. Londra è destinata ad essere il maggiore beneficiario grazie al suo settore dei servizi finanziari e professionali. Ma c’è molto di più. L’accordo con Tokyo mira a garantire disposizioni all’avanguardia sul commercio digitale, che a sua volta andrà a beneficio di settori innovativi come l’e-commerce e le industrie creative. La pandemia da coronavirus ha convinto l’Uk sull’urgenza di diversificare le catene di approvvigionamento al di fuori dell’Ue e della Cina, incentivare la digitalizzazione dell’economia, ridurre le barriere al commercio e agli investimenti transfrontalieri, sostenere la cooperazione in materia di regolamentazione finanziaria e rendere più facile per i professionisti operare su scala globale. Se l’apertura a Oriente è tra le massime priorità del governo per la sua agenda Global Britain, gli accordi di libero scambio stanno diventando la pietra angolare dell’approccio di Boris Johnson, che persegue una linea di diplomazia commerciale tra nazioni sovrane post-Brexit. Secondo Liam Fox, il Primo Ministro è impegnato in un’offensiva contro la recrudescenza del protezionismo e sta posizionando il Regno Unito come pivot in una rete di commercio libero ed equo con alleati che condividono obiettivi, valori e prospettive comuni. Il Governo definirà a breve i suoi obiettivi negoziali per gli accordi commerciali anche con l’Australia e la Nuova Zelanda, con l’obiettivo di avere l’80% del commercio estero del Regno Unito agevolato da accordi di libero scambio entro il 2022. In prospettiva, questo include l’adesione al Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPTPP), l’alleanza trans-pacifica, e il trattato con Tokyo è il primo passo in questa direzione. Il capitale giapponese costituisce la spina dorsale delle supply chains nelle economie mondiali in più rapida crescita, compreso il sud-est asiatico. Nella prospettiva di Londra, l’aggiornamento delle relazioni anglo-nipponiche fungerà anche da “acconto” per l’ulteriore cooperazione normativa con il Giappone in futuro, non da ultimo per le decisioni di equivalenza nel settore bancario. Nel mentre, l’accordo commerciale con gli Usa è entrato in una fase avanzata di negoziazione ed entrambe le delegazioni pigiano sul pedale dell’acceleratore. Il tempo stringe con le elezioni di secondo mandato che si profilano e se le trattative dovessero rallentare bisognerebbe superare l’ostacolo di una Camera dei Rappresentanti a maggioranza democratica poco incline a “premiare” l’amministrazione Trump con un grande successo economico e geopolitico così vicino al giorno delle elezioni. Per questo è necessario avere un accordo dettagliato pronto per la firma, qualunque sia l’esito delle presidenziali di novembre. Aderendo al mercato trans-atlantico da un lato e al mercato trans-pacifico dall’altro, l’Uk è tornato alla strategia di fluttuare tra i principali blocchi economici, facendo i migliori affari possibili. Lord Palmerston, che credeva in interessi permanenti piuttosto che su alleanze permanenti, avrebbe senz’altro approvato.
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