Forse sarebbe stato opportuno che il professor Norberto Bobbio ed altri con lui seguissero con circospezione lo studio del pensiero di Rousseau in modo da poter sottolineare che la volontà generale, non coincide mai con la volontà della maggioranza. La volontà generale, a cui si riferisce ancora Mazzini nel 1831, è la capacità di individuare il bene della nazione, indipendentemente dalla convinzione della maggioranza dei suoi cittadini. Rousseau aveva inserito un cuneo nella dottrina democratica, tale che un suo conoscitore profondo, quale era Hippolyte Taine, lo accusava di anarchismo, cioè il contrario di chi conoscendolo approssimativamente nel secolo successivo gli avrebbe imputato sentimenti totalitari. In verità ci sarebbe stato chi in effetti sostenne la dittatura della maggioranza, quella del proletariato, e costui non era Rousseau, era Karl Marx, solo che affrontare di petto il capo partito Marx, era molto più complicato che scaricare ogni responsabilità su un sognatore solitario come Rousseau.
Rousseau ebbe un solo torto nei confronti del sistema democratico, la polemica anticristiana. Rousseau riteneva il cristianesimo dottrina inadeguata al governo dello Stato, quando lo stesso Marat vedeva in Gesù un fratello sanculotto. Da qui la vera ragione dell’isolamento di Rousseau in un mondo occidentale che si volle comunque, se non cattolico, sempre cristiano. Rousseau per il bene dello Stato, il cristianesimo lo avrebbe sradicato. Naturalmente non si può pretendere dal presidente Mattarella di delucidare controversie tanto complesse che gli studiosi professionisti hanno evitato. Per di più, Mattarella, nel suo discorso alla settimana sociale è stato chiarissimo ed impeccabile, condannando ogni assolutismo della maggioranza, e questo indipendentemente di cosa abbia scritto davvero Rousseau a riguardo. La forza della democrazia è sempre nel principio del cambiamento, l’unico in grado di preservarla.
Quando viene istituita una sovranità popolare, come diceva Rousseau, “una sovranità plurale”, in luogo di un singolo e unico sovrano, ne rimette necessariamente la stabilità del governo, in quanto il potere si decentra. Riuscire a trovare un giusto equilibrio è l’arte suprema della politica, la capacità di successo dovuta ai risultati conseguiti, la strada suprema per la longevità. La Costituzione romana del 1849 indicava tre consoli scelti dall’assemblea e in carica per soli tre anni. La Costituzione italiana prevede invece una legislatura lunga cinque, che può comunque essere interrotta e che soprattutto non fissa limiti temporali alcuni al governo. La sensibilità democratica presuppone per l’appunto che i cittadini possano cambiare orientamento e che sia compito dell’Assemblea tenerne conto. Di tutte le critiche che si possono fare alla Costituzione vigente, bisogna escludere quella di non porsi il problema della volontà della maggioranza, perché se quella generale rousseauiana ha del mistero, la prima va comunque recepita in ogni momento.
Se c’è quindi un modo sicuro per bloccare la vita democratica di una nazione, basta ingessare con una legge un governo ed il suo capo, soprattutto quando perdono il sostegno popolare. Chi propone la riforma del premierato equivoca clamorosamente la formula pienamente democratica della Costituzione repubblicana vigente, che non vuole conferire poteri straordinari al capo del governo e che soprattutto non intende fissargli una durata. Questa la decide il Parlamento, la volontà popolare espressa nella Costituzione repubblicana. Poi non c’è alcun modo possibile in democrazia di impedire complotti e manovre di palazzo. Si può invece facilmente inibire di autorità la possibilità dell’aggiornamento politico del paese, cosa che potrebbe avvenire con il referendum..
Demaline de Vizille Musée de La Révolution française