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La libertà o la morte

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
10 Novembre 2024
in L'editoriale
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Camille Desmoulins scriveva, era il 1791, che se la Russia avesse conosciuto la libertà di stampa, tempo una settimana, lo zarismo sarebbe caduto. Nemmeno al Cremlino fossero abbonati a “le Vieux Cordelier”, gli zar si preoccuparono di mantenere la più rigida censura sulla stampa per altri centoventisei anni. Lo zarismo sarebbe caduto grazia ad un complotto organizzato dal cugino dello zar, il Kaiser, attraverso la reintroduzione in Russia di oppositori esiliati. Il nuovo regime che davvero la Rivoluzione francese l’aveva studiata con attenzione, fece meglio dello zarismo, non solo mantenendo la censura ma preoccupandosi di inquinare anche la stampa occidentale. Quando Orwell raccontò dalla Spagna che la Russia comunista era un regime più oppressivo e dispotico di quello precedente, la libera stampa britannico lo prese per matto. Quanto a Putin che combinò insieme i difetti dello zarismo con quelli del socialismo, sul fronte della stampa superò entrambi facendo fuori la Politovskaja e mettere in riga tutti quanti.

Il piano di pace in Ucraina filtrato dalla stampa anglosassone, la più esposta da sempre alle veline dei russi, e ripreso anche sulla stampa italiana, sembra più elaborato da Mosca, che da una democrazia occidentale. Intanto nel caso di cessione di territori conquistati attraverso un’azione di guerra, saremmo di fronte ad una violazione del diritto internazionale. C’è la questione del Kursk che andrebbe risolta e di cui non viene fatta nessuna menzione, anche quello infatti è un territorio invaso che difficilmente può essere lasciato all’Ucraina in caso di pace. Infine resterebbe insoluto il problema delle riparazioni. Possibile che un piano di pace la qualsiasi ignori del tutto i danni di guerra?

Per la verità la futura amministrazione Trump, che deve ancora insediarsi, ha due mesi di tempo per ragionare e fino allora potrà influenzare l’amministrazione ancora in carica solo parzialmente. L’unica cosa su cui i futuri membri del governo americano sono interamente d’accordo è che non si possa continuare a finanziare direttamente l’Ucraina. Obiezione perfettamente lecita, in quanto l’Ucraina non è un paese alleato e mai domani venisse rovesciato Zelensky da un colpo di mano militare, l’Ucraina si ritroverebbe più armata di tutti i paesi Nato confinanti ed armato dall’occidente, non dalle fetenzie russe. Poi ci sono per lo meno due opinioni differenti all’interno del futuro staff, una attribuita al vicepresidente Vance, non si sa quanto qualificata, di ritenere la Crimea merce di scambio e le cosiddette repubbliche indipendenti con essa, anche se il referendum svolto non appare credibile. L’altra quella di Mike Pompeo che vuole dare un prestito all’Ucraina per mettere in piedi un’industria bellica efficiente. Pompeo è un ex direttore della Cia e probabilmente esprime la posizione della Cia che è in Ucraina da prima del conflitto e che non ha nessuna intenzione di mollarla.

Il presidente Trump dovrà valutare le posizioni presenti nella sua futura amministrazione, sicuramente ve ne saranno altre e poi accelerare. Si escluda solo che l’amministrazione americana possa decidere qualcosa sopra la testa del governo ucraino e soprattutto degli alleati confinanti. Poi c’è un aspetto storiografico che caratterizza l’approccio dei repubblicani statunitensi alla questione rispetto ai democratici. Fu il senatore McCain ad agitare l’indipendenza ucraina contro la linea di “appeasement” tracciata da Obama, mentre la presidenza Biden si spostò molto da una politica che lasciò completamente campo libero a Putin. Anche la situazione generale è completamente cambiata,, la Russia al tempo di Obama non era un collante fra Iran e Corea del Nord, come è diventata oggi, due Stati che minacciano i principali alleati degli Stati Uniti in Medio ed Estremo oriente. Infine c’è un problema cinese. Pechino monitora la situazione per valutare lo stato dei rapporti di forza. Trump ha dunque un problema geopolitico più generale a cui deve coniugare l’interesse americano, che ha la precedenza. Non può semplicemente ritirarsi dallo scenario. Altrimenti, danneggerebbe l’America.

licenza pixabay

Tags: PutinTrump
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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