Il dibattito in Senato sulla Riforma costituzionale presentata dal governo è apparso subito in salita. Altrimenti il presidente Casellati non si sarebbe messa a cianciare delle virtù economiche comportate dalla stabilità politica. Se volessimo un governo stabile per rassicurare gli investitori non basterebbe eleggere un premier, bisognerebbe poi anche sospendere per vent’anni le elezioni. Lo stato d’animo della senatrice va compreso, non poteva immaginarsi l’intervento del collega di partito, oltre che di già seconda Carica dello Stato, Marcello Pera. Pera ha detto di non capire come si intenda eleggere il premier ed in effetti, il testo di riforma non lo spiega. Tanto fa tutta la differenza. Viene da pensare che il governo avrebbe fatto meglio a proporre una semplice riforma elettorale, magari con un nome del presidente del consiglio stampato sulla scheda, proprio come, Pera se lo ricorderà, fece a suo tempo Berlusconi. All’epoca tutto passò in cavalleria con il biasimo del solo professor Sartori. Sempre l’ottimo senatore Pera ritiene che in ogni caso si rischierebbe un pronunciamento da parte della Corte di incostituzionalità. Già ce ne sono stati due, si attenda il terzo. Sempre che la Riforma venga approvata.
Con un simile inizio, le obiezioni di Pera si sono mostrate molto più consistenti di quelle di chi pure vorrebbe fare del due giugno una giornata contro la riforma. si complica non poco il percorso tracciato dal governo. Non sono convinti i suoi esponenti più qualificati, figurarsi la massa degli elettori. E con le elezioni europee alle porte, cosa può raccontare agli italiani il presidente del consiglio? DI aver voluto riscrivere quattro interi articoli della Parte Seconda della Costituzione e di averlo fatto con i piedi, invece che con la testa?
Altrimenti Fratelli d’Italia e la sua coalizione avrebbero compreso immediatamente l’obiezione fondamentale al premierato insita nello stesso nome. Il primo ministro è proprio di un incaricato regio. Una Repubblica al limite elegge un primo console e quando lo fece, declinò rapidamente. Proprio il senato romano si preoccupava di scegliere almeno due consoli, in modo di equilibrarne con il numero il potere e la legge impediva persino un secondo mandato. Gaio Mario che infranse la legge, portò la Repubblica alla guerra civile.
Nell’epoca moderna gli Stati Uniti d’America si preoccuparono di eleggere un presidente, non un primo ministro, quello l’ aveva l’Inghilterra, e gli si mostrava il fondoschiena. Il presidente è invece semplicemente colui che presiede l’assemblea degli eletti e la rappresenta, George Washington per la prima volta venne persino eletto indirettamente. Ancora più severa fu la Francia rivoluzionaria. Convintamente rousseauiani, i giacobini volevano stabilire una “sovranità plurale”, mai individuale. La stessa forma del governo prese quella del comitato. Quando Marat si recò alla tribuna per chiedere un dittatore, subito aggiunse “non io”. Storici qualificati come Hippolyte Taine non hanno mai accusato di tirannia la Repubblica in cui si contrapponevano fra loro due comitati, il parlamento, la comune ed i club. Taine accusa la Francia rivoluzionaria di anarchia, al punto che appena emergeva troppo la personalità individuale di qualcuno questa finiva al patibolo. Bonaparte il 19 Brumaio ne è perfettamente consapevole, tanto da dire a Bessiéres, “ci attendono le Tuileries, o la ghigliottina”.
Visto il preambolo in Aula, si può dare un consiglio spassionato alla maggioranza, l’unico articolo che andrebbe cambiato è il 139, e rendere modificabile la forma repubblicana. A quel punto si facessero un re, o una regina. Poi avrebbero facilmente un primo ministro.
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