Evocare la guerra civile, non è stata proprio una trovata brillante del presidente del Consiglio. L’onorevole Meloni si dimentica che la campagna elettorale appena conclusa ha avuto due protagonisti principali. Uno nella sua coalizione che inneggiava alla Decima flottiglia Mas, l’altra, agli arresti per aggressione in Ungheria, candidata da un partito di opposizione. Più di settecentomila voti espressi a personaggi che si potevano tranquillamente lasciare alle loro occupazioni. Anche l’entusiasmo, parecchio arrogante, dell’onorevole Schlein, non è giustificato dal successo ottenuto nei ballottaggi. A parte che tra politiche, europee e amministrative, i risultati possono sempre variare, il trionfo storico del partito democratico vantato, è quello di un partito che per statuto si richiama alla tradizione gramsciana insieme a quella di Don Minzoni. Qualcosa che in Italia dovrebbe valere per lo meno il 40 per cento dei consensi, quando tocca il 26 e grazie all’astensionismo.
Se consideriamo il 51 per cento e oltre di astensionismo, ecco che le forze politiche tutte sembrano pesci in un acquario, il mare aperto nemmeno sanno più cosa sia. Antonio Polito dal Corriere della Sera ha spiegato con grande rigore logico che questo astensionismo dovrebbe preoccupare il presidente del Consiglio in prospettiva referendaria e sicuramente avrà pure ragione. Altrettanto dovrebbe essere preoccupata l’onorevole Schlein che canta e balla senza accorgersi che il suo partito in queste condizioni è giusto un punto di riferimento minoritario. La maggioranza dell’elettorato non si riconosce in nessuno dei due principali partiti del paese che possono solo costruire delle coalizioni di forze che nel caso migliore rappresentano il 30 per cento degli aventi diritti al voto. Se la Dc avesse avuto simili cifre in una tornata elettorale si sarebbe suicidata prima di aspettare il 1994, perché subito le sarebbe mancata la terra sotto i piedi.
Vero è che nella storia della democrazia occidentale fin dai suoi albori, il voto si cerca di dirigerlo e controllarlo e se si possono escludere gli elementi più variabili ed imprevedibili, tanto meglio. Qui da noi si è fatto il sistema maggioritario ed anche il doppio turno, per setacciare il consenso non per estenderlo. Dovrebbe essere poi chiaro a chiunque che se si concentra l’attenzione del voto su un singolo candidato, sia il sindaco o in futuro, il presidente del Consiglio, si annulla il peso dell’assemblea, si individua un sovrano singolare, al posto di uno plurale, insomma, si ripercorre al rovescio la strada delle monarchie. Per questo vanno valutate con molta circospezione le parole del presidente del Senato, La Russa, in quanto esse colgono un aspetto delicato e profondo di un sistema elettorale che ha via via ridotto la partecipazione popolare. Solo che per non rischiare di apparire meramente strumentale, la riflessione del presidente La Russa non può limitarsi a mettere in questione in ballottaggio, Bisogna rivedere tutte le leggi elettorali vigenti e soprattutto la necessità di renderle omogenee fra loro. Non è possibile continuare a votare in maniera diversa per ogni livello amministrativo del paese.
Infine bisognerebbe pensare a cosa sarebbe stata la Repubblica italiana se mai fosse nata con lo sbarramento al 4 per cento. Anche perché a contarli ci sono più partiti oggi di ieri e continuando così, ancora altri, di inutili, sicuro, ne nasceranno.