Contestare il merito delle decisioni europee, come ha scelto di fare il presidente del Consiglio italiano riguardo le nomine della Commissione, è tanto spiacevole quanto perfettamente lecito. Se uno la pensa diversa, quale che sia la ragione, decide come preferisce e pazienza. Quello che preoccupa della posizione del governo italiano è semmai la contestazione del metodo delle decisioni europee. Secondo l’onorevole Meloni andavano premiati i gruppi dell’europarlamento in base alle dimensioni elettorali. Una tesi che non ha alcun senso. Vi è una maggioranza in grado di prendere decisioni in un percorso unitario che intende completarsi il prima possibile. Sono i pericoli a cui l’Europa è sottoposta a richiederlo e non è affatto detto che davvero ci si riesca a realizzare questa integrazione, visto comunque le distanze fra socialisti, popolari e liberali, che restano notevoli. Un motivo più che sufficiente per non acuirle ulteriormente indicando altre forze nelle cariche di livello Ue che non condividono lo stesso obiettivo politico. In verità, la sola presidenza semestrale a rotazione comporta un problema di non poco conto. Il metodo democratico contestato dall’onorevole Meloni è quello che prevede di tenere unita l’Europa contro chi vuole paralizzarla, se non proprio sfasciarla.
Nella conferenza stampa con i giornalisti italiani l’onorevole Meloni si è soffermata molto a lungo sull’inchiesta di Fan Page che riguarda il suo partito, affermando che quelli usati dalla testata giornalistica sono metodi di regime. Il problema è che il regime lo fanno i governi, non le inchieste giornalistiche, tanto è vero che l’onorevole Meloni ha detto di aver ritenuto l’inchiesta utile, speriamo, per fare pulizia interna. Poi l’onorevole Meloni ha detto che in 75 anni di storia repubblicana mai era avvenuto un simile trattamento nei confronti di un partito politico e qui per la verità bisognerebbe avere qualche margine di dubbio, perché infiltrazioni nei partiti ci sono sempre state, magari di diversa natura. Invece mai era stato infiltrato il partito di maggioranza relativa, per la semplice ragione che non ce n’era alcuna curiosità. A tutto il paese era chiaro cosa fosse la Democrazia cristiana, mentre il dibattito interno al Pds, Ds era su tutti i giornali ogni momento, con la stampa che entrava ed usciva dalle sezioni di quel partito. Quanto a Forza Italia ci si limitava a pedinare Berlusconi. Il quotidiano Repubblica scrisse nel 2009 che dopo un vertice di maggioranza il presidente del consiglio si era allontanato seguito da una macchina con a bordo una nota minorenne. Berlusconi non si è mai lamentato di aver subito un simile trattamento che pure davvero non aveva precedenti nella storia repubblicana.
I precedenti storici si sviluppano quando i conti non tornano. Il partito dell’onorevole Meloni ha rimesso in bella evidenza il simbolo del Movimento sociale che Alleanza nazionale aveva riposto in cantina e il movimento sociale era un partito, sicuramente complesso che rivendicava l’esperienza della Repubblica sociale. Per lo meno la composizione della sua classe dirigente originaria proveniva direttamente da Salò. Senza voler riproporre trite discussioni sul fascismo e l’antifascismo e con il massimo rispetto per l’onorevole Almirante, quale fosse la subordinazione al processo democratico da parte del suo partito, il mantenimento dell’ideale nazionalista esprimeva un collegamento diretto con il passato fascismo. I quadri giovanili e non solo, del movimento sociale, presentavano elementi nostalgici, se non eversivi. Ancora nel 2001 ricordiamo l’allora onorevole La Russa prendere a scapaccioni un militante in corteo che si era esibito nel saluto romano. Folclore? Di certo sgradevole. Bisogna solo chiedersi se rispolverare la fiamma tricolore, tre milioni di voti nel 1972, fosse funzionale a riaffermare nella base degli iscritti, se non nella dirigenza, determinati istinti. Da quanto si è visto in questi due anni, fra conversazioni registrate, fotografie, uso di pistole e quant’altro, la risposta è si. I giovani descritti da Fan Page, per quanto biasimati dal vertice più autorevole di Fratelli d’Italia, non paiono isolati.
Tutti ancora ricordano l’europeismo dell’onorevole Almirante che radunò i movimenti reducistici esistenti in Francia e Spagna, per spiegare che senza una destra nazionalista europea, l’Europa non si sarebbe mai fatta. Popolari, socialisti e liberali, stanno lì proprio a dimostrare il contrario, ovvero che quali siano le difficoltà incontrate l’Europa la si sta facendo eccome ed in controtendenza alle consociazioni rivoluzionarie vagheggiate dall’onorevole Almirante. Da qui nasce il dubbio sulla forza politica dell’onorevole Meloni che da quando è divenuta la prima in Italia crea preoccupazione a Bruxelles, se davvero sa dove si trova.
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