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L’ora più buia

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
26 Aprile 2025
in L'editoriale
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Milton Gilbert, uno dei più famosi biografi di Winston Churchill, racconta nelle sue pagine su L’Inghilterra allo stremo come Regno Unito e Stati Uniti d’America fossero prossimi alla rottura. Il presidente Roosevelt non ha mai invitato Hitler a fermarsi, nemmeno dopo l’invasione della Francia. Invece aveva preteso, per equipaggiare dieci divisioni britanniche, un anticipo di 250 milioni di sterline. Poiché il cancelliere dello Scacchiere era senza un penny, Roosevelt, che non aveva navi da mandare a Dunkerque, spedì un incrociatore a Città del Capo per farsi consegnare 50 milioni di sterline delle riserve auree della corona di sua Maestà depositate nei forzieri del Sud Africa. Churchill la prese tanto male che scrisse una lettera a Roosevelt, che poi decise di strappare. Fosse stata spedita, le baruffe fra Trump e Zelensky, farebbero sorridere.

Roosevelt considerava il premier britannico un arrogante e borioso aristocratico. Non capiva perché mai l’Inghilterra non capitolasse come aveva fatto la Francia. Hitler non avrebbe invaso l’Isola e non aveva mire sulle sue colonie. Per cui non c’era ragione di guastarsi le relazioni economiche e diplomatiche con il paese più potente d’Europa. Churchill chiedeva all’America una portaerei? Roosevelt gli prometteva dei cavalli. Bisogna riconoscere che almeno a Zelensky l’America ha concesso una certa linea di credito. Considerati i precedenti, vi sarebbero anche quelli fra Jefferson e Bonaparte, straordinaria. Ancora quando il Giappone attaccò Pearl Harbor, Churchill dubitava, che se la Germania non gli avesse dichiarato guerra, Roosevelt l’avrebbe aiutato.

L’impostazione della politica dell’amministrazione americana si è rivelata spesso sbagliata. Lyndon Johnson pensava di poter fare la pace con Ho ci min. Perché Trump non dovrebbe sperare di farla con Putin? Per quanto Putin sia un maniaco criminale, in confronto a Ho ci min, resta un dilettante. Piuttosto Trump non comprende affatto le ragioni profonde della crisi ucraina, a contrario di quello che dice Lavrov per rabbonirlo. Nessun presidente americano le ha mai capite. La ragione è semplice. In America si fatica persino a sapere dove si trovi esattamente l’Ucraina, così come in Europa non si sa dove si trovi il Michigan. La Crimea, gli americani la ritengono Russia, altrimenti Obama non sarebbe rimasto indifferente al blitz compiuto da Putin nel 2014, e Biden non avrebbe mancato di sostenere la controffensiva ucraina del 2023. Meno male che l’Europa si rifiuta di riconoscere oggi la Crimea come russa. Resta il fatto che la spartizione proposta dall’amministrazione Trump è più generosa di quella promessa da Kissinger nel 2022. Kissinger non chiedeva, come Vance, alla Russia di rinunciare a dei territori. Gli assegnava anche quelli del Donbass che la Russia ancora non ha conquistato e ad occhio e croce non è in grado di conquistare nemmeno continuasse a bombardarli tutto quest’anno.

Zelensky fa benone a puntare i piedi. Il presidente ucraino si trova in una posizione migliore di quella in cui si trovava Churchill nella primavera del ’40 e potrebbe ottenere concessioni anche più ampie di quelle finora negoziate. Non bisogna fidarsi delle apparenze soprattutto in una situazione tanto complessa. Chi è in grado di conoscere esattamente la situazione politica e sociale della Russia dove esplodono i supermercati nel centro di Mosca? C’è sempre un’ora più buia che batte alla vita di chi non si arrende. Zelensky avrebbe dovuto fuggire dal suo paese, come gli era stato raccomandato, ben quattro anni fa. Con tutto quello che gli è piovuto in testa, ancora è sulla breccia.

licenza pixabay

Tags: GiòbertRoosevelt
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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