La Costituzione repubblicana è stata elaborata da forze politiche che come il Partito comunista, il Partito d’Azione, il Partito repubblicano, il Partito socialista, diedero un contributo diretto nella lotta armata per la liberazione dell’Italia dall’occupante tedesco e dal regime fantoccio del reducismo fascista di Salò e dintorni. Diversi dirigenti dei partiti protagonisti della Costituente, Pacciardi, Nenni, Longo, Pajetta, combatterono in prima linea nella guerra di Spagna. La stessa Democrazia cristiana, partito di maggioranza relativa anche nella Costituente, poteva vantare personalità che avevano partecipato alla resistenza militando in formazioni partigiane di ispirazione cattolica. Per questa ragione si legge all’articolo 11 che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”. Non potrebbe mai ripudiarla per la difesa di quella stessa libertà guadagnata combattendo fino a tre anni prima. La lingua italiana è dunque chiarissima, non si ripudia una guerra di liberazione, ovvero quella che condussero gli anglo americani dal 1941 al 1945.
Altresì, l’articolo 11 esprime il ripudio per la guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, il che significa non ammettere un principio di potenza sul vinto. Quali fossero i torti, la sconfitta di una nazione va temperata dai principi dello stato di diritto e anche questo vale per la nostra stessa esperienza. L’Italia non si poteva certo considerare un paese vincitore del secondo conflitto, quando le potenze vincitrici del primo inflissero penalità alla Germania tali da favorire l’ascesa del nazional socialismo. In seguito, l’articolo 11 “consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessaria ad un ordinamento che assicura la pace e la giustizia fra le nazioni”. Ad una guerra con finalità liberatrici, e soprattutto di ristabilimento della pace, come quella degli Alleati, la nostra Costituzione permette di parteciparvi eccome, anzi, “promuovendo e favorendo le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, la Costituzione repubblicana, invita a farlo. Tanto che l’aereonautica italiana è stata impiegata nei bombardamenti di Belgrado nel 1999 a supporto di un’azione Nato contro un regime che compiva atti di pulizia etnica sulla popolazione del Kosovo e alimentava le fazioni omicide della Bosnia Erzegovina.
I motivi per i quali il governo italiano oggi ritiene di non voler mandare truppe in Ucraina, sono dunque esclusivamente politici, non certo costituzionali. In base all’articolo 11, essendo stato aggredito un paese che rischia di vedere risolte le controversie internazionali secondo il diritto del più forte, l’Italia dovrebbe già aver schierato le sue truppe in Ucraina.
Legittimamente il governo ha scelto di inviare solo armamenti di sostegno all’Ucraina, pur avendo firmato un bilaterale di difesa comune. Il governo invece non ha informato dettagliatamente in che cosa consista questo nostro contributo in mezzi e denaro all’ Ucraina e dunque nessuno poteva esattamente valutarlo se non sulla base dell’incidenza sul Pil. Trattandosi di uno zero decimale, il nostro impegno, chiacchiere e viaggi a parte, non doveva essere comunque particolarmente rilevante. Solo da ieri sappiamo, grazie alle informazioni di Mosca, che l’Italia ha inviato almeno una batteria. I russi hanno distrutto un obice Oto Melara 57.
L’unica applicazione recente in battaglia che si conosca dell’Oto Melara fabbricato nel 1956, è quella delle truppe argentine stanziate alle Malvine contro le inglesi, maggio, giugno 1982. Gli argentini vennero sconfitti in meno di due mesi. Sparando proiettili della seconda guerra mondiale con un raggio di 10 chilometri circa, la batteria Oto Melara, non dovrebbe più essere stata in grado di scalfire i carri armati di 42 anni fa. Vero è che gli ucraini nel 1982 non avevano nemmeno un esercito, mentre davanti all’invasione russa del 2014 possedevano più forconi che fucili. Quindi anche un simile pezzo obsoleto fa la sua figura. Altra questione è pretendere di onorare un patto di difesa comune. Se l’Oto Melara fosse un esempio esaustivo delle provvigioni fornite all’Ucraina, il governo dovrebbe arrossire. Mentre quell’opposizione che lamenta si mandino armi all’Ucraina, suscita pena. Ma quali armi. All’Ucraina mandiamo anticaglia buona per un museo di storia militare del secolo scorso.
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