Per certi versi Giovanni Spadolini, morendo il 4 agosto del 1994, meno di quattro mesi dopo esser decaduto dalla presidenza del Senato, si è risparmiato di vedere un’evoluzione politica della società italiana in cui si sarebbe trovato a disagio. Perché il governo Berlusconi aveva scelto di non confermare un uomo della sua statura alla guida di Palazzo Madama? Semplicemente, perché i tempi erano cambiati e pure burrascosamente. Spadolini a 69 anni comprendeva meglio di altri che tutta la sua versatilità ed il suo talento, non gli avrebbero consentito di risalire la china tanto rapidamente quanto sarebbe stato necessario. Senatore a vita, una carriera professionale e politica considerata compiuta, avrebbe dovuto ricominciare da capo, rigenerarsi e chissà che non ne sarebbe stato capace. Uomo delle istituzioni repubblicane quale era oramai diventato completamente, avrebbe fatto comunque una certa fatica a familiarizzare con il concetto del bipolarismo maggioritario dilagante, con i suoi amati giornali che scrivevano “o di qua, o di là”, e altre amenità per lui completamente prive di senso. Da un certo punto, di vista ammalarsi era quasi fisiologico per una natura tanto prorompente come quella da lui mostrata nell’epoca appena trascorsa.
Spadolini aveva sin dal 1938 questa passione per Napoleone, lo si capisce dalle sue Pagine di letteratura e storia, tanto da continuare a raccogliere cimeli e stampe di ogni tipo con l’entusiasmo di un bimbo. La cosa che lo tormentava di Napoleone era il successo giovanile. “Ma ci pensate, gli sfuggì un giorno, quello è diventato imperatore a trent’anni ed io presidente del consiglio passati i cinquanta”. Scherzava? Sembrava più malinconico. Da segretario del partito repubblicano, a fine giornata si faceva portare le bozze della voce repubblicana nel suo studio di Piazza dei Caprettari e iniziava a correggerle dall’editoriale, agli articoli di sport, la voce era piuttosto voluminosa all’epoca. Non si andava in stampa prima che avesse concluso questo suo lavoro certosino che lasciava un po’ tutta la redazione a bocca aperta. Cosa glielo faceva fare? Un’indole perfezionistica, napoleonica, da ragazzo che vuol far vedere a tutti sempre e comunque quanto vale e che non è mai soddisfatto.
Rispetto ad Ugo La Malfa, Spadolini non vedeva in Craxi un avversario politico. Il segretario socialista aveva rotto i ponti con il marxismo e questo era un merito ai suoi occhi dal momento che aveva contribuito ad installare gli euro missili, rinsaldando il fronte atlantico e il Psi sosteneva il dissenso in Unione sovietica. Craxi per Spadolini era una novità positiva, anche se entrava in competizione con l’area laica democratica. Le discrepanze erano limitate alle relazioni con il medio oriente, tanto da arrivare alla crisi di Sigonella che pure rientrò fin troppo rapidamente. Il Pri era solo in Italia nel suo sostegno ad Israele e probabilmente Spadolini temeva questo suo isolamento. L’idea di una battaglia politica dall’opposizione non gli sembrava praticabile, non era antropologicamente adatto per condurla. Il suo senso dell’equilibrio era eccezionale, tanto da risultare a volte pavido. Quando il partito repubblicano ruppe, tardi, con la democrazia cristiana, uscendo dal governo Andreotti, Spadolini ne comprese meglio di altri esponenti della Direzione nazionale le ragioni e non si oppose. Il suo ruolo istituzionale prevaleva rispetto alle decisioni del partito. In compenso, ad ogni occasione si preoccupava di far sapere che non bastava giurare mai più con la Dc. Bisognava indicare con cosa sostituire il regime democristiano che aveva retto il Paese dal 1948 senza grandi alternative. Aveva imparato fin troppo bene che non bastava la poltrona di palazzo Chigi per cambiare l’Italia. In sostanza, la questione politica per Spadolini era, vi capisco, siete stufi del sistema di potere democristiano, il Pri con amici come Battistuli, Ugolini, Giunta, voleva uscire dal governo sin dal 1987. Mi dovete spiegare come pensate di colmare il vuoto di potere creato.
Ritrovarsi di fronte ad un Berlusconi, deve averlo messo in imbarazzo. Berlusconi era un imprenditore brillante, talentuoso e spregiudicato. Non riusciva nemmeno a immaginarselo Spadolini come statista, Berlusconi. Ed Occhetto, che aveva simpatizzato per il maoismo? Poteva prendere sul serio, Spadolini Occhetto, cioè uno a cui Gorbaciov ricordava che il suo era l’ultimo partito comunista in occidente quando non esisteva nemmeno più in Russia il partito comunista? Solo l’incredibile aplomb di Spadolini, quello che in fondo Forattini coglieva nelle sue vignette, gli impediva di manifestare i suoi sentimenti per un paese diviso incredibilmente fra Berlusconi ed Occhetto come avvenuto nel fatidico ’94. Troppo per una personalità di cultura napoleonica come la sua. La storia d’Italia gli doveva sembrare essersi capovolta, come quando la Francia nel 1815 si venne a trovare sotto schiaffo di un Fouché e di un Taillerand, che almeno avevano il pregio di cooperare fra loro. Berlusconi, nel ’96, era già in procura. E Occhetto fatto fuori dai suoi stessi compagni di partito, nel rigoroso stile cekista. Sepolto vivo Occhetto, mettiamo anche che il Cavaliere fosse in grado di migliorarsi, l’uomo era sveglio e disponeva di mezzi importanti. Davvero Spadolini avrebbe mai potuto pensare che Berlusconi fosse in grado di ricostruire un tessuto politico e sociale come quello democristiano con una roba chiamata “Forza Italia”? Berlusconi era troppo divisivo, improvvisato, self made man, non ci sarebbe riuscito mai. Spadolini sarebbe rimasto stupito che Berlusconi al dunque sia quasi durato, bene o male, vent’anni. Non che il vuoto di potere fosse invece ancora oggi da colmare. Qui ci aveva preso alla grande.
Spadolini nel suo letto d’ospedale non doveva avere più una risposta su cosa fare. Il suo aspetto negli ultimi giorni era disarmante. Gli uomini della scorta in corridoio piangevano, lui torreggiava una voragine apertasi sull’ignoto tale da far provare a chiunque le vertigini. Tutta la sua impostazione politica era interamente costituzionale, legata al rapporto con la Dc, il Psi, il Pli, Già l’ex Pci gli sembrava troppo lontano. Il dubbio, è che non avesse poi nemmeno particolare interesse a indicare una qualche strada percorribile. Sarebbe servito lui stesso, trent’anni più giovane e nel pieno delle sue forze o altrimenti, essere stato eletto capo dello Stato. Dura da ingoiare anche vedersi al Quirinale, Oscar Luigi Scalfaro.
Fondazione Spadolini, Museo Napoleonico 2005