ÈIl romanzo di Alexandre Dumas “Vent’anni dopo” è il primo esempio efficace del tempo che passa senza tregua sulla vita dei medesimi protagonisti. Ma nemmeno Dumas si sarebbe spinto fino ai trent’anni per ripercorrere determinati eventi, venti gli sembravano fin troppi. Per esaminare un ulteriore scorcio temporale bisogna rivolgersi alla “Recherche” di Marcel Proust, un altro mondo letterario, dove il tempo perduto è perduto, non si ritrova. Che sia stato un successo formidabile la cattura di Matteo Messina Denaro, non c’è dubbio alcuno. Cosa Nostra ha perso l’ultimo capo responsabile della morte di Falcone e Borsellino, l’esponente di un cricca di assassini che ha saputo mettere in ginocchio lo Stato. Ed è la ragione per la quale su questo giornale non siamo mai stati convinti delle accuse di trattative fra Stato e Mafia, non c’era più nessuna trattativa possibile, semmai quella di una capitolazione di una delle due parti. Per cui anche se Cosa nostra in tutto questo tempo si fosse saputa preparare al trapasso dandosi dei nuovi vertici, questi dovranno saper replicare i successi ottenuti dai loro predecessori, un’impresa tutt’altro che scontata. Ma che bisogna fin da ora mettere nel conto. Se Cosa Nostra non fosse stata completamente annientata questa residua vorrà imporsi alla pubblica attenzione per poter davvero comandare. Altrimenti la minaccia sarà minimale.
Per quanto il governo abbia fatto benissimo ad esultare ed il presidente del Consiglio, onorevole Meloni, sia stata esemplare nel precipitarsi in Sicilia e nel voler indire una festa nazionale per ricordare la giornata di ieri, occorre tenere a mente le osservazioni del generale Mori, come quelle di Claudio Martelli e persino dello scrittore Saviano. Mori ha detto che per stare trent’anni latitante Denaro deve aver goduto di un sistema falloso della polizia, Martelli che trent’anni di latitanza non sono comunque accettabili per nessuna ragione e Saviano che tutti sapevano dove fosse Denaro, cioè a casa sua.
È questo il problema che abbiamo come Stato da affrontare non quello della trattativa che non significa niente, nemmeno come reato, ma quello delle coperture e delle complicità con la mafia cioè di una eredità profonda annidata nel nostro sistema democratico dai tempi di Lucky Luciano. È venuto il momento di spezzarla definitivamente e serve l’energia necessaria per riuscirvi. Di questo deve sapersi preoccupare il governo se vorrà vantare davvero un successo che per il momento gli è più caduto addosso che altro. Lo si capisce anche solo dal fatto che il ministro Piantedosi non era nemmeno in Italia mentre mettevano le manette a Denaro.
Foto galleria della Presidenza del Consiglio