Il primo M di Antonio Scurati vendette in poche settimane quasi 200 mila copie. Scurati lo presentò come un esempio di narrativa documentata, non il tipico romanzo storico alla Walther Scott, ma qualcosa di molto diverso. L’opera di Scurati era una specie di fascismo raccontato dal suo interno. Affermatosi come fenomeno letterario, Scurati spiegava che era venuto il momento di trovare una sintonia con la propria storia patria e invece di stare lì a condannare il fascismo, bisognava chiedersi dove saremmo stati, cosa avremmo fatto se avessimo vissuto in quell’epoca. Visto il successo del primo M Scurati ne ha scritti altri, due o tre, scusate l’imprecisione, comunque non è andato oltre al 1939, il suo eroe M porta l’Italia in guerra. Se si trattasse di risintonizzarsi con la propria storia, l’originale narrativa di Scurati ancora è tutta all’interno dell’Italia felicemente fascista, la personalità del protagonista di M più estranea, è quella di Hitler. Sarà un caso ma da quando sono usciti i libri di Scurati un partito che si richiama al movimento sociale italiano, ovvero un partito considerato comunemente nostalgico, quindi ben oltre la “sintonia” con la storia patria, dal 4 per cento che aveva di consensi è arrivato quasi al trenta. Mai il presidente del Consiglio nutrisse davvero simpatie mussoliniane proporrebbe di tenere Scurati in televisione 24 ore su 24.
Giovanni Ferrara, a lungo nel consiglio d’amministrazione della Rai e vecchio repubblicano, ebbe modo di polemizzare all’epoca con Renzo De Felice a causa della sua opera su Mussolini, sette corposi volumi a cui quella di Scurati, con tutto il rispetto, fa un emerito baffo. Ferrara era un fine storico e quindi perfettamente consapevole della straordinaria documentazione fornita da De Felice che ricostruiva un quadro dettagliato ed esaustivo del fascismo. Una ricostruzione degli eventi completa, nessun pathos narrativo, nessuna precipitazione del giudizio, tanto mai un qualche proposito di risintonizzarsi con il ventennio. L’opera di De Felice, che veniva dal partito comunista, fra l’altro, era, oggettivamente inappuntabile. Tuttavia il suo autore venne accusato di tutto, con tanto di protesta studentesca nelle aule. Giovanni Ferrara contestava invece proprio la scrupolosa attenzione dimostrata per l’epoca ed il personaggio, ritenendola semplicemente inopportuna. Giovanni temeva, indipendentemente dal distacco scientifico, l’immedesimazione dei lettori. Un effetto che si produce quale intenzione ci si proponga, la ragione per cui l’antifascismo chiede di occuparsi dell’ antifascismo e degli antifascisti.
Ovviamente fa piacere sapere che Scurati nonostante la pubblicazione di M e le sue dichiarazioni sparse sul web, si ritenga orgogliosamente antifascista, tanto da ricordare il delitto Matteotti e denunciare i crimini di Mussolini. Solo che viene da chiedersi, possibile che per il 25 aprile la Rai aveva in mente un minuto e mezzo di monologo di Scurati? La Rai ai tempi di Giovanni Ferrara si preoccupava di una ricchezza di testimonianze tali da richiedere una dovuta completezza. Per il 25 aprile non teneva monologhi, mandava in onda i capolavori di Rossellini, di De Sica, di Lizzani, garantendo almeno un paio d’ore di intrattenimento emotivo di valore artistico per scuotere i telespettatori. Oggi si potrebbe anche riesumare Tiro al Piccione di Montaldo che non si vede da anni sulle reti nazionali e molti giovani conoscono solio più i libri di Pansa. Oppure si possono invitare degli storici autentici, ve ne sono di bravissimi, a discutere di tutta questa esperienza come meglio credono, perché appunto la Repubblica non ha niente da temere dal suo passato. Oppure no. Magari questo 25 aprile si scopre una repubblica debole e timorosa a cominciare dalla programmazione della sua stessa televisione.