L’assenza di una storia ufficiale del partito repubblicano italiano comporta necessariamente qualche problema di identità. Perché non è mai stata scritta una storia ufficiale del partito è ovvio, questa sua storia inizia infatti in maniera decisiva prima che nascesse il partito, in secoli in cui i repubblicani non ci pensavano proprio alla forma partito. C’era un compianto amico che ironizzava dicendo il meglio della storia del Pri è sottoterra e sbagliava. Il meglio della storia del Pri non è nel Pri, Mazzini, Saffi, Dandolo, Manara, non erano iscritti al partito, non fanno un partito. Mentre la storia del partito vera e propria subisce subito un primo trauma con la guerra ’15, ’18, quando il liberal marxista Gobetti esultava dicendo che il Pri era morto e poi con il fascismo, dove di morto c’è Armando Casalini, assassinato dalla mano di qualche iscritto che non aveva preso bene l’adesione del segretario nazionale al fascio. Il Pri che si ricostituisce come unità combattente nel 1943 si scontra subito con il Cln. Non vi aderisce causa la pregiudiziale monarchica. Quando poi nel Pri entreranno azionisti come Parri e Ugo La Malfa sarà un altro putiferio e si arriverà alla drammatica rottura con la personalità di maggior spicco rimasta nel mondo repubblicano, Randolfo Pacciardi. Oggi è difficile rendersi conto del peso che aveva assunto questo nome sul piano internazionale oltre che su quello italiano. A Pacciardi si deve la prima sconfitta del fascismo europeo ed in grande anticipo sui tempi, a Guadalajara.
Deve essere però almeno chiaro che la rottura fra La Malfa e Pacciardi che segnerà il partito repubblicano per un altro ventennio, non avviene perché Pacciardi voleva fare il centrodestra e La Malfa il centrosinistra. Pacciardi non voleva i socialisti nel governo, non che volesse il governo Tambroni. E la formula politica che invece il Pri contribuì a costituire fu quella appunto del governo Fanfani con l’ingresso dei socialisti. Il Pri ha mantenuto questo schema fino al pentapartito, non ha mai avuto oscillazioni a destra se non quando ruppe con l’Ulivo e sulla base del fatto che Alleanza nazionale aveva lasciato alle spalle il vecchio Msi, preparandosi evidentemente a rinforzare il partito popolare europeo. Lo ricordiamo, il Pri non ebbe mai rapporti ufficiali con il movimento sociale italiano. Per questo è curioso di esponenti a lungo repubblicani che in senilità decidono di lasciare ll partito e se ne escono con la stampa dicendo, testualmente, che il partito è sempre stato di centro destra. Lo saranno stati loro forse, il partito mai, tanto che quando il Pri entrò nel Polo della libertà, vi entrò con il partito socialista di Bobo Craxi.
Giovanni Spadolini, a cui ci si richiama anche in Forza Italia e sinceramente fa piacere, entra nel partito repubblicano su iniziativa di Ugo La Malfa e proposta di Indro Montanelli, come indipendente. Il suo prestigio personale lo porta ad identificarsi sempre maggiormente con il nuovo corso del partito in una maggioranza allargata ai liberali, il primo pentapartito se vogliamo. La congiuntura internazionale fa si che la presidenza del consiglio Spadolini coincida con la presidenza statunitense Reagan ed è la grande abilità diplomatica di Spadolini a creare un rapporto ottimale con la presidenza Reagan, non che i repubblicani italiani siano simili al repubblicani americani. Proprio la lunga esperienza nel centro sinistra ha legato il Pri al partito democratico statunitense e fu Kennedy a sostenere l’apertura al Psi in Italia che in America appariva oggettivamente ancora problematica visti i rapporti del Psi con il Pci.
Poi se qualche amico pensa che Spadolini sia uno dei fondatori del Pri, si è letto anche questo, lo può pensare sotto un profilo esemplare, morale, insomma non storico. In tutto questo non si capisce però come a Spadolini si possa mai legare politicamente Bobbio, brillante professore socialista che ebbe la cattedra grazie ad una lettera di sottomissione a Mussolini. Non compromesso con il fascismo e considerate le perdite in battaglia dei combattenti azionisti, l’area socialista del partito d’azione torinese reclutò il professor Bobbio nel 1945 per colmare i suoi vuoti. E Bobbio lo ritroveremo con Craxi ad un congresso socialista. Poi comunque nel centrosinistra prodiano. Bobbio scrive il fortunatissimo Destra Sinistra alla metà degli anni ’90 per spiegare le ragioni per cui è sempre stato di sinistra. Se qualche vecchio repubblicano fosse mai uscito dal partito perché di centrodestra, pensando di emulare Bobbio, non è che non sapeva in che partito avesse militato per tanti anni. Proprio non sapeva chi fosse lui stesso che vi militava.