Mai non fossero stati sufficienti il proscioglimento degli accusati nel processo sulla trattativa Stato Mafia e la richiesta di revisione di quello della strage di Erba, ci si è messa la Sette con tre ore di trasmissione sul mostro di Firenze che però abitava a Perugia. Dal 2000 si racconta anche questa storia del ricco medico di Perugia Francesco Narducci, che nel 1968, data del primo omicidio attribuito al mostro aveva 19 anni, come mandante dei “compagni di merende”. I delitti che fino al 1985 hanno flagellato le colline fiorentine produssero più letteratura che sentenze. Ne abbiamo sentite e viste di tutte. Dalle coperture, ai depistaggi, ai depravati, alle minacce, mancava solo la magia nera. Di sicuro ancora ne vedremo e sentiremo, domenica scorsa, è spuntata la tesi del “doppio livello”, sostenuta da Andrea Purgatori. Tesi suggestiva e razionalissima, per carità. Come si fa a pensare che non ci sia stata una guida esterna ai compagni di merende tutti chiaramente cerebrolesi? Era tutto un fiorire di festini di sesso allestiti dalla massoneria umbra e toscana. La società bene fiorentina si riuniva incappucciata in ville e castelli per celebrare riti fascio massonici di occultismo sanguinolento, la Rosa Rossa, I Nove Angoli. Di tanta bella gente, è stato fatto il solo nome del gastroenterologo perugino, fino ad oggi mai indagato dalla procura fiorentina. Narducci è entrato invece nelle inchieste giudiziarie per la sua di morte, avvenuta in circostanze altrettanto misteriose. Infatti un magistrato spedì subito avvisi di garanzia per omicidio e scambio di cadavere. Ovviamente caduti nel nulla. Il collegamento di Narducci con il caso del mostro è dovuta invece ad un’audizione di Angelo Izzo, il massacratore del Circeo, alla commissione Antimafia. Vi è anche l’intercettazione di una telefonata anonima che collegava Pacciani e Narducci. Badate che nemmeno si sa ancora chi sarebbero stati gli autori di questa telefonata, tanto per capire lo stato dell’arte. Se ci sono altri elementi non abbiamo sinceramente capito. Per cui su quali basi probatorie si colleghi il Narducci ai delitti del mostro, ce lo spiegherà prossimamente Purgatori. A meno che possedere proprietà nelle zone dei delitti e la presenza del Narducci in quei luoghi, venga ritenuta da un tribunale sufficiente per procedere. È vero che a pensar male ci si azzecca, ma un pubblico processo dovrebbe disporre di qualche riscontro. Un testimone. Una confessione. Qui ci sono illazioni e dicerie in abbondanza.
Ripercorrere l’intero caso giudiziario del mostro di Firenze, la famiglia di Mario Vanni lo sta facendo per riabilitare la memoria del personaggio, offre interpretazioni di ogni genere. L’unica cosa certa è l’incredibile abbaglio preso dalla magistratura per vent’anni, convinta com’era del serial killer solitario che si aggirava fra le fratte. Poi ci si è imbattuti in tre diversi, quanto incredibili, imputati, di cui pure il principale, Pacciani, è stato prosciolto in secondo grado. Non è mancata ed evidentemente mai continuerà a mancare, l’esposizione mediatica della tragedia. Tutto iniziò a suo tempo con la trasmissione “Telefono giallo” condotta da Corrado Augias. Il giudice Vigna in teatro, sotto le telecamere accanto al regista Damiano Damiani, si rivolgeva all’autore, singolo, dei crimini invitandolo a costituirsi. Visto che quello però non telefonava, allora almeno avrebbero potuto denunciarlo coloro che lo conoscevano, magari in diretta televisiva. Rivedere una simile trasmissione, la si trova ancora nell’archivio Rai, fa dubitare che le inchieste in questo paese fossero mai una cosa seria. Per lo meno allora si trattava pur sempre di mostri vivi. Purgatori vuol far uscire dalle tombe quelli morti. La Giustizia? Accontentatevi dello Spettacolo.
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