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Cento metri quotidiani di controffensiva

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
10 Settembre 2023
in L'editoriale
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In termini strettamente militari, ad una contro offensiva che guadagna cento metri al giorno è preferibile una ritirata di duecento in trenta secondi. Bonaparte vinse ad Austerlitz perché le colonne francesi indietreggiarono durante l’attacco all’altopiano del Pratzen in modo che gli austriaci lo sguarnissero. Wellington a Waterloo fece arretrare le sue linee difensive di quel tanto da trarre in inganno il maresciallo Ney, non proprio uno sprovveduto completo. Zelensky guadagna i suoi cento metri quotidiani ad un prezzo di uomini che non può permettersi. Sono stimati 420 mila uomini, per difetto, che compongono le truppe russe presenti nei territori occupati. Con la controffensiva il rapporto di perdite fra russi ed ucraini si è invertito e questo per la prima volta comporta un vantaggio per Putin che pure sembrerebbe non avere più connazionali disposti ad arruolarsi, tanto da offrire 5000 euro agli stranieri pronti a combattere in Donbass. Anche se fosse, far sloggiare 420 mila uomini armati e barricati dietro i campi minati è opera da prima guerra mondiale. L’Ucraina dovrebbe disporre di almeno un milione di uomini perfettamente addestrati per riuscirvi.

E’ sicuro che i vertici statunitensi si rendano perfettamente conto del rischio di perdere il vantaggio guadagnato in questi mesi con l’illusione di poter liberare in breve l’intera patria. Infatti promettono ora missili a lungo raggio, come del resto hanno promesso aerei. Propositi eccellenti mentre sul campo si combatte senza successo. Cosa succederà da qui a quattro mesi, il tempo minimo per vedere operative le nuove armi? Il contesto internazionale è già cambiato pesantemente e lo si è visto al G20 di New Delhi. A che serve prendere una posizione contro la guerra e la violenza, quando una guerra è in corso? O il G20 ha una proposta di pace perseguibile, il che si esclude, oppure era meglio fallire clamorosamente, per lo meno dal punto di vista di Kyiv. Dal G20 non esce nessuno intenzionato a sostenere davvero l’Ucraina. Se in America sono troppo lenti, in Europa sono stanchi. Altrimenti lo avrebbero fatto saltare il G20 piuttosto che firmare una simile risoluzione. D’altra parte cosa aspettarsi? All’Europa non è mai importato niente di chi governasse in Ucraina e mai importerà niente, fino a quando la Russia non prende il controllo di tutto il mar Nero per superare lo stretto dei Dardanelli. Allora ci sarà un bel sussulto, come nel 1853, l’unica volta in cui ci si è preoccupato di cosa combinassero i cosacchi.

Per due secoli almeno gli ucraini sono stati subordinati ai russi. Stalin ne eliminò sei milioni e li si sono concluse le prospettive di convivenza. Julia Timoshenko emersa dalla rivoluzione arancione voleva una guerra atomica pur di liberarsi dei russi per sempre, convinta che la Russia non fosse in grado di competere atomicamente con l’occidente. Una guerra convenzionale invece i russi tanti quanti sono possono sostenerla eccome e chissà per quanto tempo. La Russia non punta mai a vincere le guerre convenzionali, aspetta piuttosto che i nemici le perdano. Solo che Putin non ha la flemma di Kutuzov e nemmeno la duttilità di Tukachevskij, o l’estro di Zukov. Putin ha solo promesso la russificazione dell’Ucraina al suo popolo, ovvero di cancellare l’Ucraina. Riuscisse a sterminare trenta milioni di ucraini, ne resterebbero comunque altri venti milioni da tenere a bada. Si può solo confidare che ad un dato momento il popolo russo prenda coscienza di quanto sia impossibile da realizzare un simile piano criminale e ne tragga le conseguenze, ponendo fine a questo disperato comando.

fptp cco

Tags: g20Ucraina
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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