Quello che sarebbe stato davvero difficile da immaginare, era un presidente repubblicano che, dopo Ronald Reagan, riproponesse una politica di dazi per gli Stati Uniti d’America Il consigliere economico dell’amministrazione Trump, Navarro, è convinto che imponendo tariffe sulle importazioni straniere possa proteggere i prodotti e i posti di lavoro americani. E per carità, a volte funziona. Non fosse, come spiegava Reagan, che dopo un po’ di tempo le industrie nazionali iniziano a fare affidamento sulla protezione del governo e. smettono di competere. Rinunciano a cambiamenti gestionali e tecnologici innovativi necessari per ottenere successo nel mercato mondiale. Già si sono formati i cartelli contro protezionisti. Giappone, Cina, Corea del Sud aumenteranno la loro collaborazione commerciale. Tariffe elevate possono indurre a ritorsioni i paesi che le subiscono. Trump che vorrebbe far finire la guerra in Ucraina, se ne trova aperta una commerciale nel Pacifico.
Più barriere commerciali, meno concorrenza. Cessa la domanda e I mercati si restringono fino a collassare. Le aziende chiudono. Milioni di persone perdono il lavoro. Una lezione della storia che Reagan ricordava perfettamente, “Tutto ciò che accadde negli anni ’30 mi ha reso determinato, quando sono arrivato a Washington, a risparmiare al popolo americano la legislazione protezionistica che distrugge la prosperità”. Al posto di Ronald, Donald è cresciuto in un’altra epoca e rischia di fare un botto in nome del patriottismo di cui, bontà sua, nemmeno si rende conto.
La nuova presidenza statunitense si è mossa finora nella confusione più assoluta e nell’ansia di prestazione. Non si trova una situazione facile ed ha un mandato da assolvere piuttosto impegnativo, per cui considerata anche la scarsa esperienza politica del personale che si ritrova alla Casa Bianca i passi falsi sono già all’ordine del giorno. Trump non è però un novellino, sia nelle sue relazioni con il popolo americano, ne sa sempre cogliere gli umori a fondo, sia per la sua passata esperienza presidenziale. Questo lascia aperta la speranza che possa correggere la rotta con la stessa velocità con cui sembra averla intrapresa. Ci sono anche dei segnali in questa direzione.
Che tutti vogliano commentare subito un presidente tanto esagitato nei suoi movimenti è perfettamente comprensibile, tanto da venir trascinati come da un vortice. Persino un atlantista formidabile come Galli Della Loggia se ne era uscito con il paragone fra Trump e Zelensky e Hitler e Schuschnigg, che pure venne trattato da Hitler con tutti i riguardi, ma pazienza. Ci sarebbe solo da ricordare a Galli della Loggia che l’America di Trump combatte per l’Ucraina di Zelensky dal 2022, non l’ha invasa. Una piccola differenza con la Germania nazista, insomma.
A tanti formidabili candidati alla presidenza statunitense di noi altri, una sola osservazione. Tutte le critiche rivolte a Trump sono pertinenti. Ricordatevi solo che Roosevelt nel 1933 andava perfettamente d’accordo lui con Hitler, quello vero, l’unica cancelleria europea che aveva apprezzato il piano d pace lanciato della Casa Bianca, fu quella tedesca. Hitler ne incassò i dividendi in Spagna, quando l’America di Roosevelt mise l’embargo alla Repubblica ed in galera i cittadini americani che andavano a difenderla. Hemingway si trasferì a Cuba per non venire arrestato. Roosevelt decise di partecipare alle olimpiadi di Berlino lo stesso anno, il culmine dell’apoteosi del Fuhrer vide gli atleti americani in pista. Jessi Owen strapazzò i crucchi vincendo tre competizioni? Owen fu l’unico atleta medaglia d’oro a non essere ricevuto alla Casa Bianca. L’America di Roosevelt era pure segregazionista. Ancora nel 1940, a Churchill che lo supplicava di intervenire, Roosevelt rispondeva che il premier britannico “era nelle sue preghiere tutte le sere”. Memorie di Churchill. Ci sono voluti otto anni per dare un giudizio compiuto su Roosevelt, C’è chi ritiene di poterne darne uno su Trump dopo sessanta giorni.
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