La prima a porre in questione il termine “conservatore” per il partito Tory fu la stessa Margareth Thatcher sicuro di aver rivoluzionato l’Inghilterra più di quanto potesse aver fatto Oliver Cromwell. Del resto un qualche dubbio storiografico sarebbe più che legittimo, considerando che il capostipite del conservatorismo britannico, viene considerato Edmund Burke, che prima di fondare il partito per vent’anni era stato un Whig. Burke aveva infatti sostenuto la ribellione delle colonie americane. Si opposte invece alla loro indipendenza e quando poi esplose la rivoluzione francese era collassato. Monarchico fino al midollo, Burke ispirò la politica britannica antirivoluzionaria in tutto il secolo successivo. Eppure, i veri problemi per l’Inghilterra iniziarono con la Restaurazione, quando i suoi alleati mostrarono un volto che in nulla rispecchiava le idee liberali comuni ad entrambi i partiti inglesi.
Nessuno in Inghilterra ha mai messo in discussione il libero mercato e dopo la guerra con l’America i diritti civili. La differenza corre fra chi vuole più regole, chi meno e chi nessuna affatto. Winston Churchill nato liberale si ritrovò nei conservatori e non si pentì mai del cambiamento perché non aveva variato di un grammo la sua sensibilità politica originaria, comunque tesa alla grandezza dell’impero britannico. Nemmeno i laburisti, eredi dei Whig, hanno mai voluto disfarsi della potenza imperiale. Tutti vi si sono rassegnati, almeno formalmente. La Brexit è la ripresa di un sogno, via dal pazzo continente, torniamo agli oceani. Il premier Johnson che poi è il principale interprete della Brexit, è il conservatore più atipico per antonomasia. La sua politica economica segue un modello keynesiano e sotto il profilo morale non dimostra particolari ossequi nei confronti della intolleranza religiosa del rigido costume anglicano. Poi la parola “tory” che viene tradotta comunemente con conservatore, in gaelico, significa semmai inseguitore.
Morale, il nuovo capo della comunicazione del premier Jhonson, David Canzini, ha fatto sapere al “Financial Times”, di piantarla una volta per tutto con il definirli un governo conservatore. Visto l’innovazione e la strategia riformatrice, preferirebbero al limite chiamarsi “unconservative”, quasi l’opposto insomma. Chiacchere magari, non fosse che la dichiarazione di Canzini è caduta per il settantesimo anniversario del regno di Elisabetta. Rispetto ai Whig, i Tory si erano contraddistinti nel ritenere le prerogative della Corona prioritarie rispetto a quelle del Parlamento. Questo l’aspetto storico principale della differenza fra Tory e Whig considerando appunto la Rivoluzione ed i suoi cambiamenti. Se proprio nell’anniversario del regno i Tory hanno fatto sapere che gradiscono un nuovo significato del loro nome, magari presto riscopriranno quello originale, prepariamoci ad assistere al tramonto della stessa monarchia inglese. Sta arrivando il momento di inseguire qualche nuova forma di governo. Il cilindro di Boris Jhonson non ha esaurito le sorprese anche perché davvero non si vede cosa vi sarebbe più da conservare una volta uscita di scena Elisabetta. Dio salvi la Regina. Non salverà la monarchia.