“Il solito pazzo di sempre”, è il commento nelle memorie di Fouché su Bonaparte tornato dall’Elba. I rapporti fra l’imperatore ed il suo ministro degli Interni sono già compromessi all’indomani dell’attentato di rue Sant Nocaise, la notte di Natale del 1800. Fouché intuisce subito la matrice monarchica, il Primo Console lo ignora, Napoleone punta l’indice sui giacobini. Il dissidio e il licenziamento del ministro segneranno il resto delle loro relazioni. Solo sei mesi prima, a mezzogiorno del 14 giugno Fouché già sapeva della sconfitta di Marengo ed era pronto ad aggiornare il consolato, senza particolare palpitazione. “Quell’ometto pieno di boria, per questo abbiamo fatto la rivoluzione?”. Il principale collaboratore di Bonaparte resta un suo dissidente convinto anche quando tornerà in servizio imperiale. Viene da chiedersi, perché mai i due siano tanto legati, e la risposta è semplice. Fouché ha fatto sparire la documentazione sull’anno ’93 del primo console. L’unico buco nero di una biografia che ricostruisce la vita nei dettagli di Napoleone sin dal tempo della scuola di Brienne. Eppure l’anno cruciale della rivoluzione svanisce d’incanto in ogni biografia del futuro per riapparire solo negli ultimi mesi di Tolone. Bonaparte era distaccato alla caserma di Lione quando Fouché è commissario per la Convenzione. Sottotenente di artiglieria, è il giovane ufficiale a eseguire le mitragliate. La controprova? Il memoriale di Sant’Elena dove a Napoleone sfugge la frase “anche Collot d’Erbois mi voleva bene”. Questa davvero non si era mai sentita, quel mozzateste di Collot che vuole bene a qualcuno. E dove poteva aver conosciuto il sanguinario collega di Fouché, il giovane Bonaparte, se non a Lione? Il Generale Vendemmiaio non proviene dal nulla, viene dalle istruzioni di Lione. Caduto Robespierre si ritrova in prigione e nonostante che dopo Tolone, abbia rifiutato il comando in Vandea. I migliori generali di Francia sono tutti sul Reno e vanno e tornano in Vandea, Bonaparte no, evita entrambi i fronti per recarsi ad Ajaccio dallo zio sindaco della città. Più un politico che un militare. Massena quando se lo vede arrivare al comando dell’armata d’Italia dirà “ecco il solito raccomandato”, ma non perché nell’armata fosse “solito” raccomandare i generali. “Solito” era invece esserlo per Bonaparte, prima dal Comitato di Salute pubblica, poi dallo zio, in Italia, adesso dal Direttorio.
I 14 giorni ed i 15 anni che dividono Marengo da Waterloo sono uniti dallo stupore di Napoleone. Egli stesso non riusciva a credere nella durata della sua epopea. C’è un lato infantile nell’Imperatore, “se nostro padre ci vedesse”, la frase al fratello Giuseppe, il giorno dell’incoronazione, che Freud interpreta come di chi in fondo dubita di se stesso. Marengo e Waterloo sono legate dagli stessi errori strategici, la sottovalutazione del nemico che per quanto numericamente più forte possa essere, mai impressiona Napoleone. Cosa differenzia l’esito delle due battaglie? I suoi generali. Un conto è avere Desaix e Murat al comando della cavalleria, un altro Ney e Grouchy. Senza Desaix che interviene dopo la sortita austriaca che ha piegato la linea francese, Fouchè, la sera del 14 giugno, avrebbe insediato un nuovo consolato.
Uno storico riluttante a riconoscere la grandezza di Bonaparte, Edgar Quinet, la pensa allo stesso modo di Fouché. Qual è stato il risultato del suo impero, se non di mettere un dispotismo al posto di un altro, di disattendere la principale promessa della rivoluzione, quella della libertà. Sotto un profilo strettamente teorico impossibile dar torto a Quinet. Napoleone riporta la Francia al medio evo con tanto di celebrazioni coronate. Il celebre dipinto di Gerard lo ritrae con lo sguardo assente, il volto pallido spiccare dalla stola di ermellino, o peggio ancora, in pantofole di seta al Campo di Marte, vestito di paramenti rossi e bianchi, quando dovrebbe giurare sulla costituzione. Combattere tutta la vita le monarchie europee per finire con lo sposare la principessa della casa d’Austria. Un tale fallimento aveva congelato Quinet, come lo era di suo Fouché. La parabola amara delle speranza repubblicana, la disgrazia del giacobinismo, messe insieme. Sotto un profilo politico, molto più difficile attaccare Bonaparte. I suoi critici dimenticano che senza di lui i Borbone sarebbero tornati sul trono già nel 1799. Senza il colpo di Stato a Brumaio la vecchia e decrepita monarchia, una volta restaurata sarebbe rimasta in sella almeno fino al 1830. Altro che sovrano scelto dal popolo, codice civile, confische dei beni degli emigrati. Nemmeno il divorzio ci sarebbe stato in Francia. Quanto alla statura militare di Bonaparte, quali errori potesse commettere, bisogna pur sempre completare di leggere il pensiero di Massena. Quell’ometto emaciato e smunto che gli era entrato impacciato dallo sciabolone nella sua tenda, “appena calato il cappello in testa, già si era alzato di due piedi”.